Assorbire CO2 e immagazzinarla nel terreno, l’Italia risponde all’appello

19 Luglio 2021 05:00

Anidride carbonica? Produrne di meno, dice la transizione ecologica verso un’economia più sostenibile. Da tempo però la ricerca scientifica si è messa a lavorare su un altro fronte: assorbire la CO2 già emessa per ridurne la quantità presente nell’atmosfera. Non solo piantando più alberi, consumatori abituali di CO2, ma realizzando veri e propri impianti artificiali in grado di assorbire la sostanza. Si chiama CCS, ovvero Carbon Capture and Storage, che in italiano non vuol dire altro che “Cattura e stoccaggio del carbonio”. Una pratica ancora piuttosto acerba in termini numerici ma che sta attirando l’attenzione dei giganti petroliferi e industriali nel mondo. Anche l’Italia si sta muovendo in quella direzione, ne è un esempio l’accordo stretto alla fine del 2020 tra Cassa depositi e prestiti, Eni e Snam.

Catturare l’anidride carbonica incanalando i fumi della produzione

A differenza degli alberi, l’uomo non si nutre di anidride carbonica. A meno di improbabili colpi di scena a livello genetico questo non è nemmeno previsto possa accadere. Ciò che l’uomo può fare, però, è inventarsi un modo di catturare l’anidride carbonica emessa dai grandi complessi industriali e stoccarla, cioè immagazzinarla, dove non nuoce all’atmosfera. Ovvero nel sottosuolo. Il processo più alla portata e maggiormente impiegato è la cattura della CO2 post-combustione. Consiste nell’incanalare i fumi esausti derivanti dalla produzione industriale (o energetica) e dalla combustione di carburanti fossili in modo tale da poterli “filtrare” chimicamente. Attraverso alcuni processi è possibile infatti isolare il diossido di carbonio dal resto delle sostanze presenti nei fumi (come il vapore acqueo) trovandosi così tra le mani l’anidride carbonica “pura”. In base alle diverse tecnologie e alle scelte degli ingegneri si può optare per una forma gassosa oppure liquida, a seconda delle esigenze di trasporto.

Il trasporto verso un luogo in cui non possano nuocere

Una volta separata l’anidride carbonica dai gas emessi dalle fabbriche, quest’ultima viene trasportata tramite tubature verso luoghi preposti alla sua conservazione. Luoghi in cui il diossido di carbonio possa essere parcheggiato senza finire nell’atmosfera, dove andrebbe ad alimentare ad esempio l’effetto serra. Secondo il centro studi del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti sarebbero cinque i diversi tipi di depositi ideali ad ospitare l’anidride carbonica. Le formazioni saline nel sottosuolo ma anche i giacimenti esauriti di petrolio e gas (che hanno ospitato per milioni di anni proprio le sostanze fossili). Seguono le miniere di carbone non utilizzabili ma anche le formazioni di basalto. Riguardo a quest’ultime è da segnalare uno studio pubblicato nel 2016 sulla rivista Environmental Science & Technology Letters (American Chemical Society). Quest’ultimo dimostrava che iniettando l’anidride carbonica nel basalto si può ottiene la mineralizzazione del carbonio, con la trasformazione del gas in minerali. Il tempo necessario al completamento del processo sarebbe inoltre decisamente rapido, pari a circa due anni. Grazie a questo fenomeno sarebbe quindi possibile stoccare grandi quantità di CO2 in maniera permanente.

“Un video con sottotitoli in italiano che spiega la tecnologia della cattura del carbonio”

Anche in Italia qualcosa si muove

Risale alla fine del 2020 la firma di una lettera di intenti tra Eni, Snam e Cassa Depositi e Prestiti per la decarbonizzazione dell’economia italiana. All’interno di questo impegno viene citato anche il “potenziale di Carbon Capture and Storage (CCS) per promuovere la produzione di idrogeno blu nella fase di transizione, sia progressivamente attraverso l’idrogeno verde. La collaborazione riguarderà anche la realizzazione di infrastrutture e attività di ricerca e sviluppo per lo stoccaggio e il trasporto dell’idrogeno o della CO2”. In altre parole l’applicazione della tecnologia CCS sia post-combustione (per isolare l’anidride carbonica) sia pre-combustione (tecnologia che rappresenta ancor più una nuova frontiera e che prevede l’isolamento dell’anidride carbonica prima della combustione, in modo tale da creare un combustibile pienamente sostenibile). Tra i progetti italiani a riguardo si segnala l’ambizioso progetto di Eni per la realizzazione di “uno dei maggiori hub al mondo per lo storage di CO2 nonché il primo nel Mediterraneo al largo di Ravenna”, che verrà attivato entro il 2030 sfruttando i giacimenti esauriti dell’Adriatico.

L’impatto sul totale delle emissioni

Secondo una stima della Agenzia internazionale dell’energia la cattura e lo stoccaggio del carbonio potrebbe portare ad una riduzione delle emissioni di diossido di carbonio di almeno un quinto, in vista degli obiettivi di emissioni nette zero da qui al 2050 che le principali potenze mondiali si sono poste. Nel 2020 la tecnologia CCS avrebbe permesso, secondo il rapporto 2020 del Global CCS Insitute, di assorbire 40 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Nello stesso rapporto si parla di come l’Agenzia internazionale dell’energia preveda nel suo scenario sostenibile un aumento di questa capacità a 5.635 milioni di tonnellate annue.

Una tecnologia ancora estremamente acerba…

Il gigante del petrolio Shell ha stimato che per mantenere il riscaldamento globale a due gradi sopra il livello dell’era preindustriale da qui al 2070 sarà necessario realizzare qualcosa come 10mila grandi impianti di cattura e stoccaggio del carbonio nei prossimi cinquant’anni. Nel 2020 quelli attivi erano meno di 50, con 65 progetti in lavorazione in tutto il mondo.

…Sulla quale permangono dubbi

Fece parlare di sé uno studio della Victoria University di Melbourne, nella quale si sostiene che i processi di cattura e stoccaggio del carbonio (costano almeno sei volte tanto) rispetto alla conversione degli impianti di produzione verso fonti rinnovabili. L’Australia non ha avuto buone esperienze con questa pratica. Nel 2020 a Chevron è stato richiesto di pagare oltre 100 milioni di dollari dal governo australiano per il mancato assorbimento delle emissioni promesso. Tuttavia è da segnalare un altro studio, stavolta dell’Università di Berkeley e pubblicato su Nature nel maggio 2020. Al suo interno si riporta che il processo di cattura e stoccaggio della CO2 in impianti alimentati a carbone porterebbe ad un raddoppio del consumo di acqua (necessaria per il processo di CCS) nonché una riduzione dell’efficienza dell’impianto del 12% e un aumento del costo dell’energia elettrica del 75%. Non solo, che i processi di CCS dovrebbero essere limitati a luoghi in cui non ci sia il rischio di scarsità di acqua.

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