Rapporto Onu sul clima, nello scenario migliore potremo solo limitare i danni

10 Agosto 2021 06:00

In breve:

  • È stato pubblicato il rapporto sui cambiamenti climatici dell’Ipcc (Onu) e le notizie non sono buone
  • L’uomo deve raggiungere la neutralità climatica entro il 2060 per stabilizzare la temperatura media della Terra
  • Per ritrovare temperature così alte sul pianeta bisogna tornare indietro di 100mila anni
  • Il Mar glaciale artico potrebbe sciogliersi quasi del tutto entro fine secolo nello scenario pessimistico

Era atteso e si sapeva che avrebbe lasciato il segno. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc), foro scientifico dell’Onu, ha pubblicato una prima parte del proprio rapporto sullo stato di salute del clima della Terra. Un’opera maestosa a cui hanno contribuito centinaia di scienziati di tutto il mondo che si prefigge di fornire una fotografia oggettiva di come stanno davvero le cose. Ovvero non bene. Dal rapporto emerge che anche raggiungendo la neutralità climatica (in tutto il mondo) entro il 2060 l’impatto dell’uomo non potrà essere cancellato ma solo, forse, contenuto e limitato.

Dal 2000 in poi ogni decennio è stato più caldo del precedente

Ciascuno dei quattro ultimi decenni è stato più caldo di quelli precedenti fino al 1850. Secondo le stime di Ipcc la temperatura media nella superficie della Terra tra il 2001 e il 2020 è stata 0,99 gradi centigradi più alta rispetto a quella registrata tra il 1850 e il 1900. Concentrandosi sull’intervallo 2011-2020 questo aumento sale a 1,09 gradi. Buona parte dell’innalzamento della temperatura media secondo il rapporto sarebbe  da appuntare all’attività dell’uomo, con le sue emissioni di gas serra e sostanza inquinanti nell’atmosfera. Per la precisione, gli essere umani avrebbero contribuito all’aumento della temperatura tra gli 0,8 e l’1,3 gradi centigradi. Gli studiosi hanno ricostruito la serie storica (e preistorica) delle temperature medie anche per l’età preindustriale, raggiungendo ad una conclusione: l’ultimo periodo in cui si sarebbero potute registrare temperature simili a quelle del XXI secolo è l’Olocene, oltre 100mila anni fa.

L’aumento dei gas serra è “inequivocabilmente” opera nostra

Su questo punto il documento è categorico. L’incremento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera è “inequivocabilmente” opera dell’attività dell’uomo. Tra il 2011 e il 2019 la concentrazione di queste sostanze ha continuato ad aumentare, facendo toccare all’anidride carbonica le 410 parti per milione, il metano 1.866 parti per miliardo e le 332 parti per miliardo all’ossido di azoto. In termini percentuali, più comprensibili, dal 1750 ad oggi la concentrazione di anidride carbonica è aumentata del 47%, quella del metano del 156% e quella dell’ossido di azoto del 23%, valori che, a detta degli scienziati, sarebbero ravvisabili in lunghe transizioni tra periodi glaciali e interglaciali i migliaia di anni (e non di un paio di secoli). Nel 2019 la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è stata la più elevata almeno degli ultimi 2 milioni di anni, mentre quelle di metano e ossido di azoto le più alte da almeno 800mila anni a questa parte.

Nell’ultimo secolo i mari si sono alzati di 20 centimetri

Il livello medio delle acque marine nel mondo ha sperimentato un aumento progressivo nell’ultimo secolo. Tra il 1901 e il 2018 la media si sarebbe infatti alzata di 20 centimetri, con un incremento 1,3 millimetri ogni anno tra il 1901 e il 1971 e un aumento ben più rilevante di 1,9 millimetri tra il 1971 e il 2006. Da quell’anno al 2018, poi, le cose sarebbero rapidamente peggiorate, incrementando il ritmo di aumento del livello delle acque a 3,7 millimetri ogni anno. Anche in questo caso l’influenza umana costituirebbe “molto probabilmente” il motore principale di questo cambiamento, perlomeno a partire dal 1971.

La Terra si può ancora salvare, ma servirebbe un miracolo

Gli studiosi hanno preparato diversi scenari riguardo l’andamento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera da qui al 2100. Alcuni di questi permetterebbero di contenere l’aumento della temperatura media del pianeta a livelli relativamente sostenibili, ma a fronte di condizioni davvero difficili da raggiungere, se non proibitive. Gli scenari riportati da Ipcc (che poi si riferiscono al modello Cmip6) sono cinque. Due pessimisti, due ottimisti e uno intermedio. Di questi cinque solo due permetterebbero di mantenere l’aumento della temperatura rispetto all’era pre-industriale sotto i 2 gradi centigradi. Ovviamente i due scenari ottimistici. Il fatto è che quello ottimista richiede il raggiungimento della neutralità climatica di tutto il mondo entro il 2075, anno dopo il quale tutte le economie della Terra non solo dovrebbero cessare di emettere gas serra ma addirittura sperimentare un bilancio di emissioni negative (emettere meno di quanto la Terra sia in grado di assorbire). Con questo scenario a fine secolo l’aumento di temperatura dovrebbe attestarsi a 1,8 gradi. Per essere realmente certi di non superare i 2 gradi di aumento, però, bisognerebbe puntare allo scenario “superottimistico”, quello in cui le emissioni di gas serra diventano negative attorno 2055. In questo scenario la temperatura potrebbe persino scendere di un decimo di grado, chiudendo a fine secolo a +1,4 gradi rispetto all’era preindustriale.

Gli scenari più probabili sono altri (e distruttivi)

Gli scenari da evitare sono chiaramente i due più pessimistici. In uno di questi si mette in conto un raddoppio delle emissioni di gas serra da qui al 2100, con conseguente aumento della temperatura globale a 3,6 gradi oltre la media di inizio ‘800 (fino a 4,6 gradi). Nello scenario ultrapessimistico si ipotizza un pianeta Terra in cui la transizione ecologia ha miseramente fallito, portando i Paesi a raddoppiare le emissioni di gas serra da qui al 2050 e provocando un aumento della temperatura di 4,4 gradi (ma fino a 5,7) con conseguenze distruttive per la sopravvivenza dell’ambiente come lo conosciamo oggi. Il documento completo è a dir poco corposo (quasi 4mila pagine) e contiene diversi esempi di quali possano essere questi impatti. In questa sede ci si può limitare ad uno tra i più indicativi. Nello scenario intermedio, pessimistico e ultrapessimistico la superficie di ghiaccio del Mar glaciale artico scenderebbe sotto il milione di chilometri quadrati intorno al 2050, sfondando quota 500mila chilometri quadrati nell’ultimo quarto di secolo. Per comprendere la portata del fenomeno basti pensare che negli anni ’80 questa superficie superava i 6 milioni di chilometri quadrati. Insomma per tentare di limitare i danni i legislatori di tutto il mondo dovrebbero correre, velocemente e da subito.

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