Smart glasses, ci risiamo: la lunga rincorsa agli “occhiali intelligenti”

15 Settembre 2021 06:00

In breve:

  • Dopo anni di prototipi e progetti fallimentari potrebbe essere giunto il tempo degli smart glasses
  • I primi modelli risalgono a tesi di dottorato del Mit di Boston ma erano perlopiù esercizi di stile
  • Dal 2010 in poi i colossi dell’informatica stanno rincorrendo le lenti di nuova generazione

Gli occhiali esistono almeno sin dal Medioevo. Per quasi un millennio questo ritrovato dell’ingegno umano aveva uno ed un solo compito: permettere a tutti di vedere, sopperendo alle diottrie mancanti o difendendo gli occhi da una luce solare troppo violenta. Con l’avvento dell’informatica e dei gadget di ultima generazione questo compito sembra essere obsoleto. A partire dai primi anni 2000 si sono susseguiti prototipi di “smart glasses”, ovvero “occhiali intelligenti”, chiamati a rivoluzionare l’uso degli occhiali tradizionali e ampliarne le funzionalità. Gli ultimi in ordine di tempo i Ray-Ban Stories, realizzati in collaborazione con Facebook.

Ray-Ban Stories, così registri video direttamente con gli occhiali

È l’ultimo ritrovato in termini di tecnologia per la condivisione via social: un paio di occhiali che scatta foto, registra video e invia tutto in pochi secondi al proprio smartphone. Sono i “Ray-Ban stories” , gli occhiali smart prodotti dalla nota azienda del gruppo Luxottica in collaborazione con Facebook. Il prodotto si presenta come un paio di occhiali da sole nero, ma all’interno della montatura ha piccoli altoparlanti, sensori touch, microfoni e un paio di fotocamere, alle estremità delle due lenti. Queste fotocamere da 5 megapixel possono essere attivate con un tocco sulla montatura o tramite comando vocale e, di fatto, riprendono ciò che l’indossatore sta guardando con i propri occhi. Cosa cambia rispetto alla ripresa con lo smartphone? Nulla, se non l’immediatezza dell’avvio delle riprese. Il video o la foto scattata vengono poi automaticamente inviate tramite bluetooth al proprio telefono, dove una applicazione si incaricherà di velocizzare la condivisione via Facebook, Instagram o Whatsapp (in pratica il gruppo Facebook).

L’allarme del garante: ci sono problemi di privacy?

Il Garante per la protezione dei dati personali ha avanzato al garante della privacy irlandese (sede del gruppo Facebook in Europa) di sollecitare Facebook “affinché risponda ad una serie di quesiti prima della commercializzazione degli occhiali sul mercato italiano”. Quale sarebbe la criticità principale degli occhiali? Teoricamente quando l’indossatore avvia un video o scatta una istantanea con gli smart glasses, una piccola spia bianca dovrebbe accendersi, avvisando così i passanti o chi gli sta intorno che in quel momento le fotocamere sono in azione. Stando alle prime recensioni internazionali però (qui il New York Times, qui Buzzfeed) questa “limitazione” alla libertà e alla totale indiscrezione dell’indossatore – nonché diritto dei soggetti immortalati di essere informati – sarebbe relativamente facile da aggirare (la giornalista di Buzzfeed ha coperto il led, venendo però informata dall’azienda della violazione dei termini di servizio).

I Ray-Ban stories sono però solo l’ultima evoluzione degli “smart glasses” che dall’inizio del millennio, tra prototipi più o meno fortunati, stanno cercando di imporsi come nuovo prodotto di largo consumo.

Il memory glasses project, uno dei primi tentativi di creare occhiali “intelligenti”

Ad inizio degli anni 2000 al Massachussets Institute of Technology, il rinomato Mit di Boston, aveva preso piede l’idea di creare una linea di dispositivi indossabili e “intelligenti”. O meglio “smart”, così da addentrarsi meglio nel linguaggio informatico anglosassone. Il progetto si chiamava Mithril e si prefiggeva di sviluppare una linea di abbigliamento di ultima generazione che permettesse di indossare oggetti come batterie, router per internet e lettore infrarossi. Tra questi un prodotto che oggi potrebbe far sorridere, i “memory glasses”. Un paio di occhiali con il compito di ricordare a chi li indossa eventuali appuntamenti o semplici appunti inseriti in una memoria da portare sempre con sé. Il progetto diventò poi nel 2004 una tesi per un dottorato e in quello stadio si fermò. Gli occhiali infatti erano collegati con gli altri dispositivi indossabili tramite scomodi cavi e probabilmente la visione dei creatori del progetto era troppo avanti per i tempi: la tecnologia disponibile non permetteva di realizzare le premesse.

Nel 2004 il primo vero antenato canadese (ancora lontano dal commercio)

“Video blogger che riprendono le loro vite con una inquadratura in prima persona? Penso che sia qualcosa che vedremo nei prossimi anni”. Così dichiarava Roel Vertegaal, uno dei creatori del prototipo di smart glasses canadese. Era il 2004 e l’aspetto degli occhiali era a dir poco grottesco. Una piccola telecamera in mezzo alle lenti sormonta il setto nasale e sporge di almeno tre centimetri. Le lenti e la telecamera sono incorniciate da una serie di led luminosi non dissimili da quelli che costituiscono le luminarie degli alberi di Natale. No, non servivano ad incrementare l’illuminazione dell’ambiente per migliorare la qualità dell’immagine: accendendosi di colore rosso identificavano gli occhi dei passanti che volgevano lo sguardo verso l’indossatore degli occhiali. In quel momento gli occhiali avviano la registrazione, che viene archiviata in un piccolo computer da portare sempre con sé. Anche in questo caso brillante idea, meno il tempismo.

Nel 2013 fu Google a provarci seriamente con i Google Glass

Dal 2010 Google ha portato avanti il proprio progetto di “smart glasses”, il primo nel quale una grande corporation si sia davvero mai cimentata. Il prodotto venne commercializzato nel 2013 dopo una lunga gestazione, nel mercato statunitense. Più che occhiali da sole, i Google glass ricordavano un visore a realtà aumentata. Sopra l’occhio destro era infatti montato un piccolo “proiettore” che mostrava all’occhio dell’indossatore un menù del tutto paragonabile a quello disponibile sullo smartphone. Era presente anche una fotocamera, ma l’obiettivo principale dei Google glass non era la condivisione sui social quanto l’aumento delle potenzialità dell’indossatore. Un’idea che si avvicinava più ai progetti avveniristici del Mit che non a quelli recenti di Facebook.

Alla fine del 2019 e poi nel 2020 Google ha continuato a sfornare nuovi modelli degli occhiali, riservandoli però alla clientela business, senza mai contare più di tanto sulla loro diffusione di massa.

Ci prova anche Snapchat, puntando sulla realtà virtuale

Per trovare un prodotto simile a quello commercializzato da Facebook bisogna arrivare agli “Snapchat Spectacles”, cui ultimo modello è stato commercializzato nel maggio del 2021, ovvero pochi mesi fa. In questo caso l’azienda produttrice è Snap e il social di riferimento è Snapchat (quello che permette di condividere contenuti “autodistruttivi”, ovvero che si cancellano dopo un certo lasso di tempo). Questi occhiali hanno funzionalità ancora una volta diverse rispetto ai precedenti. Sono forniti anch’essi di due piccole fotocamere che però, stavolta, proiettano sulle lenti degli occhiali delle immagini tridimensionali che si sovrappongono al reale ambiente circostante. Quando questi occhiali sono attivi l’impressione è più quella di una vera e propria realtà virtuale che non di un paio di lenti da vista o per proteggersi dal Sole. Un modo per crearsi una propria realtà parallela che esiste, però, soltanto sulla propria retina.

“La recensione degli occhiali pubblicata della celebre testata americana The Verge”

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