Trent’anni senza Ugo Tognazzi

Ugo Tognazzi ci manca da 30 anni: personalmente mi manca così tanto che gli ho già dedicato la copertina dei film più belli del 2018, cogliendo l’occasione per omaggiare anche Bernardo Bertolucci con un’immagine tratta da “La tragedia di un uomo ridicolo”.

Tognazzi è il mio preferito, ho ricordi di frammenti di suoi film che ho visto chissà dove chissà quando, forse a pezzi, tanti li ho visti quando ero piccola, eppure ancora girano nella mia testa. Sarà la faccia, l’intelligenza, la profonda comprensione dei personaggi, la voce, io quella voce me la metterei in loop nelle orecchie, ci farei una playlist di canzoni. Mi piacciono tutti questi Tognazzi, e dagli oltre 100 film che ha interpretato fatico a selezionarne 10, ma ci provo.
Più delle maschere immortali e pop del Conte Mascetti, più di Renato Baldi, più dello stesso Ugo de “La grande abbuffata”, si capisce già dai nomi dei personaggi che sono dei FILMONI.
1) Il padre de “L’educazione sentimentale”, il primo episodio de “I mostri” di Dino Risi del 1963 (il bambino è il figlio Ricky Tognazzi): “il mondo è tondo e chi non sa stare a galla va a fondo”.

2) Gildo Beozi de “Il complesso della schiava nubiana”, episodio de “I complessi”, del 1965 (famoso per “Guglielmo il dentone” con Alberto Sordi): il professor Beozi, funzionario di Stato, manda rettifiche ai giornali perché non lo confondano mai con il noto playboy Guido Beozi, truffatore di signore anziane, registra le telefonate con i parlamentari, organizza tentativi di corruzione per testare l’onestà degli uscieri. “Beozi, questo ometto debole senza punti deboli, questo piccolo Achille senza tallone d’Achille”, si ritrova improvvisamente a fare i conti con il passato della moglie, che ha interpretato una piccola parte da schiava nel film “Thor e le quattro regine nude”. L’uomo precipita in un incubo e si mette alla ricerca di tutte le copie del film, arrivando fino ai negativi conservati allo Studio Nardi di Piacenza.

3) Andrea Artusi de “Il magnifico cornuto” di Antonio Pietrangeli del 1965 che si apre con il protagonista in macchina che si dirige verso la nuova casa dove poi, travolto dalla gelosia, rinchiuderà la moglie interpretata da Claudia Cardinale. Sempre con Pietrangeli poi Tognazzi sarà l’attore fallito Gigi Bazzini in “Io la conoscevo bene”, in una delle scene più crudeli del cinema italiano di quegli anni.

4) Umberto Ciceri in “Straziami ma di baci saziami”, di Dino Risi del 1968, magnificamente scritta dallo stesso Risi con i soliti grandiosi Age e Scarpelli e interpretata da Nino Manfredi e Pamela Tiffin. È un classico triangolo amoroso: il barbiere Marino e l’operaia Marisa si incontrano a Roma e si innamorano subito. Marino lascia il suo paese e va a cercarla a Sacrofante Marche dove però il padre di Marisa si oppone al matrimonio. Dopo varie vicissitudini fotoromanzesche i due si separano e Marisa sposa Umberto Ciceri, un sardo sordomuto, che si rivelerà un ulteriore ostacolo quando, ritrovandosi, i due scopriranno che il loro amore non si era mai spento. “Straziami” è un film genialmente immerso nella cultura popolare dell’epoca, quella delle persone semplici, che sognavano la vita dei romanzi a fumetti e delle canzonette.


5)Antonio Pepe de “Il commissario Pepe” di Ettore Scola del 1969: un onesto funzionario di polizia di provincia si ritrova tra le mani una serie di lettere anonime che denunciano vizi e depravazioni di tutte le personalità più in vista della città e che durante l’indagine si trasformeranno in un intreccio articolato di episodi di pornografia e prostituzione che coinvolgono insospettabili cittadini comuni. Nel film, ambientato in una cittadina immaginaria di una provincia agricola e cattolica e girato tra Vicenza e Bassano Del Grappa, Tognazzi svolge anche la funzione di voce narrante e ci introduce nel contesto cittadino: “La nostra è una città tranquilla, dedita al lavoro e alla famiglia. 25 fabbriche, tra grandi e piccole. Ogni tanto c’è qualche sciopero, qualche comizio, ma senza compromettere l’ordine pubblico: discorsi infuocati, vibrate proteste, qualche applauso e tutto resta come prima. I padroni restano i padroni e gli operai restano operai. La nostra è una città cattolica. 34 chiese, sempre tra grandi e piccole: la nostra è una città che si fa il segno della croce”.


6) Emerenziano Paronzini di “Venga a prendere il caffè da noi”, di Alberto Lattuada del 1970 e interpretato dallo splendido trio femminile Francesca Romana Coluzzi, Milena Vukotic e Angela Goodwin (pseudonimo estero di Angela Bucci, che poi rivedremo nei panni della Moglie del Perozzi in “Amici miei” di Monicelli). Invalido della Seconda guerra mondiale, Emerenziano Paronzini lavora al Ministero delle Finanze. Quando viene trasferito a Luino decide di sistemarsi sposando Fortunata, una delle tre ricche sorelle Tettamanzi. Tornato dal viaggio di nozze, non si accontenta della moglie e inizia una relazione anche con le altre cognate. In questo microcosmo femminile denso di repressioni l’uomo stravolge la ipocrita atmosfera perbenista tutta casa e chiesa, in un ambiente provinciale bigotto dove si spettegola su tutto e su tutti, in cui il sesso è argomento tabù da spiare di nascosto. Tognazzi esalta i tic e le nevrosi del personaggio e la sua filosofia del piacere: caldo, carezze e comodità sono le tre C dell’uomo moderno, dell’italiano vero.

7) Adoro Tognazzi quando fa l’integerrimo, l’incorruttibile, come il Mariano Bonifazi di “In nome del popolo italiano”, film di Dino Risi del 1971 scritto dalla solita coppia d’acciaio Age & Scarpelli dove Tognazzi e Gassman che si sfidano a duello. Indagando sulla morte sospetta di una giovane tossicodipendente il giudice istruttore Mariano Bonifazi incontra l’imprenditore Renzo Santenocito, palazzinaro cialtrone (quindi il Gassman migliore) intrallazzato che si serviva della ragazza per intrattenere i propri clienti. Santenocito è rozzo, arrogante, corrotto e corruttore, Bonifazi è integro, severo, dedito al proprio lavoro di rappresentante della giustizia e il primo, che non esita a cercare di coinvolgere il vecchio padre nel tentativo di crearsi un alibi, diventa il colpevole ideale per il secondo. La narrazione è scandita dalla lettura delle pagine del diario della ragazza, che ne ricostruiscono la solitudine, l’infelicità, i tentativi falliti di cambiare vita, ma tutto, volutamente, viene travolto dall’indignazione del magistrato e dalla baldanza dell’industriale: enorme prova dei due grandi attori, “In nome del popolo italiano” è l’Italia di ieri e l’Italia di oggi dove non ci sono santi né eroi.

8) Con Giulio Basletti di “Romanzo popolare” di Mario Monicelli del 1974, scritto con Age e Scarpelli, credo di aver finito gli aggettivi elogiativi. Interpretato da Ornella Muti e Michele Placido, il film è ambientato a Milano e racconta la storia di Giulio, un metalmeccanico sindacalista di mezza età, che sposa la diciassettenne Vincenzina, arrivata da un paese vicino ad Avellino nella Milano degli anni ’70. I due hanno un bambino, e va tutto bene finché, durante una manifestazione sindacale, nelle loro vite arriva il giovane poliziotto Giovanni. Film sociale e commedia amara, in “Romanzo popolare” c’è la vita operaia e politica degli anni ‘70, la stagione dei diritti conquistati, la modernità (almeno a parole), l’hinterland tra Lambrate, Greco e Sesto San Giovanni, un ritmo pazzesco che procede avanti e indietro per flashback e voce fuori campo e la colonna sonora di Enzo Jannacci: a me “Vincenzina e la fabbrica” fa venire i brividi, da sempre.

9) Anteo Pellacani de “La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone”, di Pupi Avati del 1975 che ho visto tardivamente quando ero all’università in una notte di insonnia su Rai3, e che è stato una folgorazione. Quando ho avuto modo di parlarne direttamente con Avati mi ha raccontato che dopo i suoi due primi film faticava a mettere insieme i soldi per il terzo e Tognazzi, che all’epoca era uno degli attori più pagati del paese, decise di lavorare gratis.


10) Infine, ho sempre avuto un debole anche per un Livio Stefani de “L’anatra all’arancia” di Luciano Salce del 1975, il marito che, sul punto di essere lasciato dalla moglie Lisa (Monica Vitti) per un raffinato uomo d’affari francese, architetta una messa in scena da uomo di mondo per ingelosirla.


Poi, cosa vi devo dire, sarà un brutto film sarà tutto quello che volete, non lo ricordo nemmeno perché l’ho visto davvero chissà quanti anni fa, ma per me Nikolaj Afanasijevic Maksudov de “Il maestro e Margherita” ha da sempre la faccia di Tognazzi.

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