A proposito di paesi e di fare i conti con il passato: “Argentina, 1985”


Ecco un altro film che avremmo preferito vedere in sala e che invece è finito a smarrirsi nei labirinti di una piattaforma: presentato in concorso alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia, il primo film argentino prodotto da Prime Video si intitola “Argentina, 1985”, è firmato da Santiago Mitre, ed è ispirato alla vera storia dei procuratori Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo, che nel 1985 osarono indagare e perseguire Videla e i militari responsabili della fase più sanguinosa della dittatura militare del paese. Senza lasciarsi intimidire dall’ancora notevole influenza che l’esercito aveva sulla loro fragile, nuova democrazia, Strassera e Moreno Ocampo formarono un improbabile giovane team legale per ingaggiare la loro battaglia. Nonostante il clima intorno a loro fosse tossico e costellato di minacce e attentati anche alle loro famiglie, il gruppo di procuratori in un tempo record riuscì a raccogliere le prove necessarie (oltre 800 persone andarono a testimoniare al processo) per restituire giustizia alle vittime della giunta militare.


Una storia epicamente sobria di impegno civile che si concentra sull’umanità dei due protagonisti e del loro team di ricerca: il più grande processo politico contro apparati militari dopo Norimberga viene raccontato da Mitre (autore del soggetto e della sceneggiatura) in un legal drama vecchio stile ma molto elegante, che riesce a tenere sempre alta la tensione grazie a una scrittura forte e intelligente, capace di fornire un ritratto rotondo delle loro personalità e delle loro famiglie, incorniciato dal brillante umorismo delle loro vite quotidiane.

 


A proposito di paesi che non riescono a fare i conti con il proprio passato: “Argentina, 1985” lo fa con un film collettivo in equilibrio perfetto. Il procuratore Strassera (uno splendido Ricardo Darín), che durante la dittatura è stato zitto, come tanti, paralizzato dal terrore, continua ad aver paura per sé stesso e soprattutto per la sua famiglia, e cerca in tutti i modi di evitare l’incarico che gli viene imposto dal nuovo governo, ma trova la forza per portarlo avanti proprio nella famiglia, in un paio di vecchi amici, nell’energia di Luis Moreno Ocampo, assistente procuratore al primo incarico che gli viene affiancato perché tutti gli altri sono “morti, fascisti, o super fascisti” e perché viene da una famiglia di conservatori legati a doppio filo ai militari, e sua madre tutte le domeniche va a messa nella stessa chiesa dove va Videla. Lo stesso Luis Moreno Ocampo, che nella vita reale divenne poi il primo Procuratore capo della Corte penale internazionale. Una storia straordinariamente vera, che ha dato voce a centinaia di racconti di sequestro, tortura, morte, davanti a una nazione in parte vittima e in parte complice della dittatura.


Quella di Strassera non è la parabola di un eroe (“i testimoni sono gli eroi”), ma una prospettiva di ricomposizione, una possibilità, quella possibilità unica che la Storia gli ha offerto, di essere lo strumento dello Stato per riportare giustizia, e sollievo, e un’idea di futuro, in un paese devastato.

 

 

 

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