“Ariaferma” nello spazio rotondo


Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, “Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo, dopo essere passato in sala, è disponibile su Prime Video: la storia è ambientata in un vecchio carcere della Sardegna, dove le procedure di dismissione si bloccano per problemi burocratici e una manciata di agenti si trova a dover restare a guardia di una dozzina di detenuti in attesa di nuove destinazioni. Guardie e prigionieri si trovano rinchiusi in un momento sospeso dove la routine quotidiana è saltata: nell’affrontare i disagi logistici nella relazione tra i due gruppi si generano frizioni e si innestano dei piccoli cambiamenti. Tra i leader dei detenuti Don Carmine Lagioia (Silvio Orlando) e il più alto in grado tra le guardie, l’ispettore Gaetano Gargiulo (Toni Servillo), permane una legittima diffidenza che inaspettatamente si incrina di fronte al nuovo arrivato, un ragazzo che si chiama Fantaccini (l’esordiente Pietro Giuliano), che riporta tutti a ricordare cose che sembravano aver dimenticato.

 

Leonardo Di Costanzo avrebbe potuto caricare a molla i suoi personaggi, inchiodare il loro gioco di sguardi in tagli alla Leone, sparare musiche ad alta tensione, e immergere il suo film in una atmosfera da western crepuscolare.
E invece fa tutto il contrario Di Costanzo, fa un film secco e dritto come un colpo di fucile, e usa la solida sceneggiatura scritta con Bruno Oliviero e Valia Santella per creare in uno spazio chiuso un’atmosfera sospesa, un duello di occhiate e di dialoghi, mischiando i protagonisti: Orlando nel ruolo del cattivo è straordinario: per l’amor del cielo smettetela di fargli fare il marito, ma imparate da Di Costanzo e fategli fare il boss mafioso. Questa idea dei ruoli invertiti e di un meccanismo narrativo che ad ogni istante potrebbe inserire un’esplosione ma decide di non farlo mai è vincente.
In un carcere ogni cosa è una novità, figurarsi una situazione di cambio cella, diminuzione guardiani, indisponibilità della cucina, vicinanza con soggetti sgraditi (il tipo di reato che hai commesso racconta chi sei) e in questo momento preciso in questo luogo di corridoi, porte chiuse e rituali precisi, vengono alla luce anfratti sconosciuti, aree abbandonate, formiche, piante selvatiche commestibili e sprazzi di umanità rimasti celati per anni.

 

Il capo dei guardiani fa mosse inaspettate perché sa gestire la temperatura del sangue, il proprio, e quello dell’ambiente che lo circonda. Gargiulo aspetta il trasferimento che potrebbe arrivare domani insieme ai prigionieri, non vuole alzare la tensione e con circospezione comincia a trattare con Lagioia, che ha molto da perdere perché è a fine pena. Lagioia lo provoca, rilancia, tutto con estrema calma, con la solennità di chi conosce il gioco, che sa che anche i secondini sono in prigione, e continua, colpo su colpo, battuta dopo battuta, per testare la solidità dei confini della relazione, e Gargiulo lo segue, con un suo aplomb, per non farsi vedere infastidito o anche solo per mostrare che non ha paura delle sue provocazioni.

 

E per tutto il film Lagioia guarda dritto Gargiulo e Gargiulo guarda Lagioia, in cucina mentre si maneggiano coltelli, nei corridoi abbandonati, nello spazio rotondo sul quale si aprono le celle (il film è girato nell’ex carcere di Sassari, ma lo chiamano il carcere di Mortara, un luogo che non esiste), nel cortiletto squallido dove si va a fumare una sigaretta.

 

 

Ma continuerebbe come una guerra fredda il confronto tra i due capi se non arrivasse Fantaccini a sparigliare le carte, Fantaccini che è un ragazzino che ha commesso un reato minore, che più che un detenuto sembra un operatore del servizio civile e la preoccupazione della guardia e del boss per Fantaccini è la stessa, ed è su quella, su un elemento terzo, che si costruiscono le basi per il dialogo.
Sui figli, sui padri, sul cibo, sul passato, perché il carcere di Mortara è un posto senza futuro.

 

 

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