“Atlantide” è un film d’acqua di corpi di musica, colore e solitudine

Tra le opere più sorprendenti della Mostra del cinema di Venezia, e speriamo di vederlo premiato e speriamo di vederlo girare, si è conquistato un posto nel mio cuore “Atlantide” il nuovo film di Yuri Ancarani nella sezione Orizzonti.


Ancarani mette in scena una storia frammentata su un gruppo di adolescenti a Venezia. La loro strada è la laguna, il loro motorino è il barchino. Lo modificano, ci fanno le gare, ci dormono, ci ballano e ci fanno l’amore. Dal gruppo emerge Daniele, che sogna un barchino da record, che lo porti in testa alla classifica.

Per realizzarlo ruba, contrabbanda, viene picchiato e isolato dal branco. Un film di riquadri narrativi e poche parole, che restituisce perfettamente il senso scarno delle relazioni di questo mondo prettamente maschile.

Ancarani fa tutto giusto: il suo sguardo sui ragazzi, coltivato durante quattro anni di ascolto e osservazione, è così perfetto che mi sembrava di sentir parlare i miei, di ragazzi. È così giusto che tutto quello che abbiamo visto nel cinema italiano degli ultimi anni sugli adolescenti sembra stonato.

Se funziona il contenuto, la forma del racconto è ancora più interessante: ogni sezione narrativa ha un suo taglio, un tono, un raffinato uso del colore, una musica dance sparata, una voce fuori campo, qualcosa di inaspettato che stravolge ogni possibile intuizione dello spettatore più consapevole, fino ad arrivare a uno stupefacente artistico finale astratto e allucinogeno ove musica e regia giocano insieme sott’acqua, come hanno già fatto nello spazio, come in un caleidoscopio.

A questo servono i festival, per la miseria. A Dune certo, a Sorrentino, pure. ma soprattutto a questo. A scoprire qualcosa di nuovo da amare.

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