“Cry macho”, Cry Clint

Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 1975 scritto da N. Richard Nash, autore della sceneggiatura insieme a Nick Schenk, “Cry Macho”, il nuovo film di Clint Eastwood, presentato al Torino Film Festival e ora in sala, racconta la storia di Mike Milo, ex campione di rodei e addestratore di cavalli, che viene incaricato dal suo ex boss di recuperare il figlio adolescente in Messico, sottraendolo alla madre e a una vita (pare) di abusi, per riportarlo a casa in Texas.

 

 

O meglio: è la storia di Mike Milo, NOVANTUNENNE ex campione eccetera.

Dato che “La morte ti fa bella” è solo una commedia brillante di Robert Zemeckis, il Clint Eastwood attore che viene corteggiato da donne che hanno la metà dei suoi anni è imbarazzante per lo spettatore già da qualche tempo: se ancora potevi credere al Robert Kincaid de “I ponti di Madison County” del 1995 (dove Eastwood ha 65 anni ben portati), quando vedi Earl Stone in “The Mule” del 2018 cominci a sorridere digrignando i denti e al Mike Milo di “Cry macho”, nel 2021, ti cresce una certa irritazione.

 

 

Oh certo, tutto il film vira a una malinconia crepuscolare e va avanti grazie a qualche battuta così studiata che sembra quasi una tagline (“Questa cosa del macho, è sopravvalutata”), ma che diamine, crepuscolare mi sembrava già “Il cavaliere pallido” del 1985, e crepuscolarissimo “Gli spietati” del 1992.

 

E dire che a un certo punto avevo quasi creduto che Eastwood avesse trovato una nuova rappresentazione quando nel 1993, in “Un mondo perfetto”, ha scritturato per la parte del protagonista Kevin Costner, uno che aveva 25 anni di meno. E invece niente, ce lo ritroviamo qui a far girare la testa a tutte e a rifiutare profferte amorose.

 

Ci sono altre cose che non tornano nel film, dalla vita di strada del giovane Rafael che finisce in un battito di ciglia, alla facilità con cui Mike e Rafael si liberano degli inseguitori, alla finta ostilità delle forze dell’ordine locali, ma alla fine “Cry Macho” è una favola a lieto fine di una figura mitologica del cinema, e non si può liquidare così senza rispetto.

E se devo porgere a Clint Eastwood regista i miei rispetti allora preferisco ricordare un film poco considerato come “Mezzanotte nel giardino del bene e del male” del 1997, con quel Kevin Spacey che chissà se lo rivedremo mai al cinema, con Jude Law quando ancora aveva i capelli, e John Cusack in uno dei suoi ruoli da buono. Questo film ambientato in un sud caldo e marcio mi gira in testa da quando l’ho visto, molto più degli Oscar di “Million Dollar Baby” e della sua storia tragica.

 

E ovviamente “Gran Torino” del 2008, dove quel Clint stizzito e bizzoso e ringhiante che solo a fatica, a strappi, a spallate, lasciava entrare nella sua vita un ragazzino e la sua famiglia. Quel Clint e quella relazione erano giuste e credibili da qualunque parte la guardassi, e quella è la storia che voglio ricordare.

 

E invece: quando è uscito “The Mule” ho pensato che, in fondo, se Clint avesse deciso di congedarsi con la storia di un uomo che ha comprato tutto ma capisce che non può comprare il tempo, sarebbe stato ancora un buon modo di salutare. Ma a quanto pare è ancora presto per salutare.

 

 

 

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