Da Beckham a Unica, il pettegolezzo vip che riempie lo streaming

È “docu-bio” mania. C’è una tendenza che imperversa su Netflix oramai da un paio di anni abbondanti, e si tratta della spasmodica – a tratti quasi morbosa – ossessione per i prodotti “biopic” documentari. Scorrendo la sconfinata library di contenuti che rimpolpano la piattaforma over-the-top più amata dai fan del binge-watching (per cui si intende una vera e propria “abbuffata” televisiva, in cui gli utenti guardano senza pause gli episodi di una serie TV), è facile notare quanto quei prodotti siano oramai una parte imprescindibile della sua offerta. Certo, le produzioni “docu” (soprattutto quelle di stampo “true crime”) hanno sempre rappresentato degli ottimi riempitivi nell’attesa di una nuova stagione de “La Casa di Carta”, “Stanger Things” o “The Crown”, ma è oramai pratica da un paio d’anni l’uso (o abuso?) di mini-film o mini- serie biografici, che ruotano attorno ad un atleta, ad un artista o ad un personaggio del mondo dello spettacolo. E ce n’è per tutti i gusti: dagli sportivi come Alex Schwazer (“Il Caso Alex Schwazer”, 2023) e David Beckham (“Beckham”, 2023), passando per Michael Jordan e i Chicago Bulls (“The Last Dance, 2020) fino a star internazionali come Robbie Williams (“Robbie Williams, 2023) o veri reali (“Harry& Meghan”, 2022) e showgirl come Ilary Blasi (“Unica”, 2023) o Georgina Rodriguez aka Mrs. Ronaldo (“Soy Georgina”, 2022), la parola d’ordine è una sola: inciucio. Non si scandalizzino i lettori (sappiamo di aver toccato un tasto dolente), ma il minimo comun denominatore che muove le fila di questi prodotti, che è anche la ragione per cui vengono visti, è il desiderio continuo di pettegolezzo, scavare nella vita privata di personaggi famosi, principalmente per scoprirli vulnerabili, o semplicemente umani.

Una tradizione, quella del gossip, che, soprattutto per quanto riguarda il pubblico italiano, si perde nella notte dei tempi, agli albori della serialità letteraria: si pensi al grande trionfo dei romanzi d’appendice (con la produzione di Carolina Invernizio in testa) alla fine dell’Ottocento, a cui fecero eco romanzi rosa, fotoromanzi, radio-drammi, soap opera e persino i reality show nel corso del Novecento; fino ad arrivare alla più contemporanea delle soap social, i “Ferragnez”. Storie d’amore burrascose, storie di cadute, storie di malattia, storie di rivalsa: l’operazione è semplice, ma soprattutto funziona e con ottimi risultati. Non sorprende che l’ultimissima produzione del colosso statunitense, il docufilm di e su Ilary Blasi, sia in testa alle classifiche dei contenuti più visti e abbia fatto centro ancora una volta. D’altronde, c’è tutto quello che gli spettatori cercano: la storia di una donna forte e determinata, di successo, ma anche ferita da un tradimento imperdonabile da parte dell’amore della sua vita. Un’ora e venti di intervista- fiume, in cui Blasi ruba la scena con eccezionale magnetismo, spaziando da racconti molto intimi (troppo) a un’inaspettata auto- ironia – è deliziosa quando racconta che l’investigatore privato, ingaggiato per pedinare Francesco Totti dopo i dubbi su un presunto tradimento, si sia fatto “sgamare”.

“Unica” si inserisce, dunque, in una linea editoriale molto precisa intrapresa da Netflix negli ultimi anni, che arriva anche in un momento specifico della storia della piattaforma. Perché, non ci gireremo troppo attorno, c’è un’evidente penuria di contenuti: da una parte, le grandi produzioni internazionali (a partire dall’attesissima season finale di “Stranger Things”) sono state rallentate dal lungo e massiccio sciopero degli attori a Hollywood, conclusosi solo all’inizio di novembre; dall’altra, perché i costi che caratterizzano i prodotti fiction (intesi come storie di finzione) sono diventati insostenibili. Giusto per dare un paio di cifre: un solo episodio di “The Crown” (di cui è ora disponibile la sesta e ultima stagione) costa all’incirca 13 milioni di dollari. Viene da sé la scelta di investire in molte, troppe, opere docu-bio: costi senza dubbio molto ridotti, in quanto coinvolge un solo talent (il protagonista della serie) e, soprattutto, si può contare sull’utilizzo di tanto materiale d’archivio, che va solo assemblato e reso coerente attraverso una sapiente opera di montaggio. Tutto questo per dire che la scelta di Netflix di lavorare in questa direzione è principalmente legata a ragioni economiche: in fin dei conti, “massima resa, minima spesa” è un adagio che è sempre valido, soprattutto quando si parla di TV.

di Fabrizia Malgieri

© Copyright 2024 Editoriale Libertà