E un altro pezzo di sogno americano se ne va: “Nope” di Jordan Peele

Per la nostra rubrica “Estate, tempo di filmacci” (laddove per filmacci intendo sempre titoli di genere che mi riempiono gli occhi e il cuore, come RRR), è arrivato su Sky il terzo film di Jordan Peele, “Nope”. Un gran peccato vederlo in piattaforma, perché è un’esperienza visiva da schermo più grande del pianeta con l’audio migliore possibile. Ma non vorrei fuorviarvi, perché Peele a questo giro orchestra un gran lavoro sulla forma e sul comparto tecnico ma non molla neanche di un centimetro sul contenuto. Dopo l’integrazione (il thriller/horror/parodia Get Out che si mescola con la politica, il razzismo e le teorie del complotto) e l’uguaglianza sociale (Us, horror ancora più politico che parte come una invasione home per poi arrivare a quel finale pazzescamente visionario,), Peele racconta e distrugge un altro pezzo di sogno americano. “Nope” è un film sul desiderio, sulla voglia di successo, sulla svolta, sulla possibilità di dire Ce l’ho fatta.

In una valle della California gli Haywood, OJ (Daniel Kaluuya) e la sorella Emerald (Keke Palmer) vivono allevando cavalli per gli studios. Dopo che il padre muore colpito da un oggetto piovuto dal cielo, OJ fatica a portare avanti l’attività, ed è costretto a vendere alcuni cavalli al vicino Ricky “Jupe” Park (Steven Yeun), ex bambino prodigio diventato proprietario e animatore di una fiera allestita vicino al ranch degli Haywood. Sopra di loro intanto accadono cose, ci sono strane nuvole immobili, i cavalli spariscono nel buio, la luce va e viene e Em si mette in testa di riprendere queste anomalie, questi “oggetti non identificati”, di fare il filmato per Oprah. Nel frattempo, in un diverso e uguale contesto di sfruttamento, Jupe, che già da tempo ha sviluppato una enorme capacità di fare profitto dalla spettacolarizzazione della tragedia, ha allestito una specie di “sacrificio” pubblico di cavalli a queste apparizioni nel cielo.

Ogni spettacolo ha bisogno di un pubblico e il film mette a fuoco una serie di immagini e dialoghi intorno a questo tema del guardare, osservare, essere spettatori, arrivando fino al pre cinema, al ruolo fondamentale dell’analogico, e alla fragilità dell’immagine. Ogni drago ha bisogno di un cavaliere coraggioso che lo affronta: “Nope” è un film western, di fantascienza, di avventura, tutto insieme, che è un enorme omaggio al maestro dell’intrattenimento family, allo Spielberg di E.T., Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, Jurassic Park, Lo squalo, La guerra dei mondi.

E il suo cavaliere non è il regista alla Werner Herzog alla ricerca dell’immagine della vita, è un allevatore nero con problemi relazionali che istintivamente capisce la natura animale dell’alieno, che sa come piazzare la sua trappola. E esattamente come Spielberg, gli costruisce intorno un set, come un tabellone del Monopoli, dove ognuno ha un ruolo e deve seguire le indicazioni del regista, demiurgo, di John Wayne che salva Natalie Wood.

 

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