«I film di Stefano Sollima sono quel grande cinema che in Italia non si fa più»
Dentro il cinema di Stefano Sollima, ma prendendo il lettore per mano in quella che diventa una lunga cavalcata tra peplum, horror, fantascienza, western, spy e thriller italiani degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, per dar conto dell’apparente ossimoro del sottotitolo del libro “Stefano Sollima. L’autore del genere” di Massimo Moscati (Shatter), con prefazione di Nico Parente. Giornalista e critico cinematografico, Moscati ripercorre l’intera carriera di Stefano Sollima, figlio d’arte di Sergio, e la filmografia di entrambi, partendo da un’ampia premessa sul cinema di genere e il suo rapporto col cinema autoriale.
Come si colloca l’opera di Sollima all’interno di questo discorso?
« Il sottotitolo del libro è cordialmente provocatorio. Sollima sostiene che il cinema d’autore abbia rovinato il cinema italiano, perché ha allontanato il pubblico. Questo è vero, ma in realtà il cinema italiano è globalmente un cinema di genere. Qualunque film, che sia di Fellini, di Antonioni o di Lucio Fulci, è riconducibile a un genere: giallo, romantico, drammatico… La provocazione sta nel fatto che Stefano Sollima, diventato un nome importante nel cinema italiano di punta, anche perché ha dimostrato di riuscire a girare grandi film a Hollywood, è a sua volta un autore. Da qui il concetto dell’autore del “genere”. Anche il libro ha una struttura un po’ provocatoria ».
In che senso?
« È un libro di 180 pagine dove però si comincia a parlare di Sollima a pagina 80, come nei grandi film quando l’attore più importante arriva dopo 40 minuti dall’inizio».
Perché questa scelta?
« Mi premeva scrivere una storia del cosiddetto cinema di genere, genere alto e genere basso, che si era detto fosse morto a metà degli anni Settanta, in coincidenza con una grossissima crisi per le sale. Non è però successo così . Nel libro dimostro come il genere sia sopravvissuto, anche se modificatosi con una pletora di pellicole spesso di scarso valore o comunque concepite per un mercato internazionale, che magari non trovavano nemmeno distribuzione nei nostri cinema per essere direttamente immesse nell’home video. Se dobbiamo parlare di crisi del genere, la vediamo adesso».
Sotto quale aspetto?
« Mi pare che l’unica offerta veramente importante che continua a dare il cinema italiano sia la commedia. E questo è il nostro limite, il nostro problema, sul quale dobbiamo riflettere quando si dibatte sulla profonda crisi che le maestranze stanno vivendo. Sollima sicuramente si staglia rispetto agli altri perché ha un doppio registro: da un lato è in grado di gestire la macchina cinematografica d’azione americana, avendo diretto “Soldados”, “Senza rimorso”, prodotti ad alta tensione con grande abilità nel montaggio, ma allo stesso tempo riesce perfettamente a rientrare nei ranghi di un certo cinema criminale italiano, fino all’ultimo film realizzato, “Adagio”».
Il saggio racconta di b-movie saliti al rango di cult-movie.
«Quello di b-movie è un concetto che lentamente ha cominciato a crescere fino a perdere connotazioni negative, limitandosi a definire un particolare tipo di film a basso costo. Un regista come Samuel Fuller oggi è considerato un autore che ha innovato il cinema americano. Sam Peckinpah girava film che, parallelamente alle opere di Sergio Leone, hanno anticipato il rinnovamento del western. Grazie spesso alle rivalutazioni della critica francese, autori ritenuti di serie B sono acclamati come autori di serie A. Per parlare di un italiano, c’è il caso di Lucio Fulci che, abbandonata la stagione della commedia, è entrato nel filone dell’horror e del thriller. Qui si apre un vasto panorama. Ci sono i cultori del cinema cosiddetto di serie A che magari definiscono Lucio Fulci come un autore secondario, triviale, sanguinario. C’è una massa di estimatori che lo considerano un regista di culto. È un terreno di variabili infinite, che chiama in causa il gusto. Credo che nel cinema italiano ci sia solo un nome, quello di Sergio Leone, che ha iniziato come regista di film di profondità, spesso come aiuto, passando poi a produzioni a basso costo ed è diventato subito un autore di culto. È l’unico, in parte seguito da Dario Argento».
Scrive che non si può parlare dell’opera di Stefano Sollima ignorando quella del padre Sergio.
« Il vecchio discorso è che Sollima era il terzo Sergio del cinema italiano: Sergio Leone, Sergio Corbucci e appunto Sergio Sollima, un grandissimo autore di western e spionistici all’italiana, Ha dimostrato soprattutto forti capacità tecniche, abituato a tirare fuori prodotti di elevata qualità da un budget limitato. Occorre aprire una parentesi. Stefano divenne orfano di madre molto presto e, per gestirlo, il padre lo portò con sé sul set di “Sandokan” e de “Il corsaro nero”, ma senza potersi occupare del figlio, mandato poi in collegio. Stefano a lungo si sentì rifiutato dal genitore, cercando giovanissimo di essere indipendente e riconciliandosi soltanto alla fine, dopo essere a sua volta diventato padre. Tornando al cinema di Sergio Sollima, come altri autori di un certo periodo, aveva dentro un concetto politico e morale, si veda per esempio il western “La resa dei conti” con Tomas Milian. Stefano Sollima sostiene invece che il regista non debba mettere il suo punto di vista, ma narrare una vicenda in maniera tale che lo spettatore possa trarre le sue conclusioni. Personalmente non sono d’accordo e credo che in fondo nemmeno Stefano Sollima riesca ad applicare questa formula. Si distacca comunque qui dal suo papà, per il resto buon sangue non mente. Sergio Sollima era un grande professionista del cinema d’azione e altrettanto lo è suo figlio».
Stefano Sollima ha iniziato come cameraman di network tv, non direttamente nel cinema.
« Mentre il padre scrisse in gioventù addirittura una storia del cinema americano, Stefano Sollima invece non ha frequentato nessuna scuola, ma cominciato la sua attività come fotoreporter internazionale, anche in situazioni di guerra. Poi entra in tv, come regista di serie, da “Un posto al sole” a “La squadra”. Il grosso colpo arriva con la serie televisiva “Romanzo criminale”. Un altro colpaccio è, come capostruttura, la miniserie “Gomorra”, girata in stile americano. Mostra così il suo talento” e viene chiamato a dirigere “Soldado”. Dunque si è fatto le ossa come fotoreporter, poi in televisione e quindi al cinema. Sono convinto abbia ancora davanti un mondo».
di Anna Anselmi
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