Indigestione da Sanremo, e non è ancora iniziato

 

Se tutti i giorni in redazione arrivano dei lanci d’agenzia sul Festival di Sanremo è perché si tratta di uno spettacolo: costoso, televisivo, nazional-popolare. Dunque, che ne penso? Un po’ mi interrogo: come mai, dall’inizio del nuovo anno, tutti i santi giorni i media ne parlano? Non sarebbe meglio offrire approfondimenti sulla buona musica, sul buon cinema, sui bei libri e, magari, sulla televisione di qualità?

A proposito di Sanremo, ogni anno si leva a furor di popolo, una polemica, anzi due: la prima è relativa ai costi della manifestazione (mai come quest’anno), la seconda al valore della musica, ormai divenuta un prodotto di marketing televisivo (anche molti libri, è, se è per quello). Sulla prima non voglio soffermarmi, un po’ perché è una battaglia persa, esistono gli sponsor e scelgono loro. In quanto allo share che ci si aspetta, bisognerebbe allora parlare anche del calcio in tv e di molti altri cachet fuori da ogni logica. Piuttosto, ritengo opportuno riflettere sulla seconda questione: una realtà inevitabile, data la crisi della discografia? Sì e no.


In realtà, il discorso è ampio. Esistono ancora – e io sono sicurissima che dopo queste chiusure forzate i musicisti torneranno ad esibirsi e noi sentiremo la loro voce ancora più forte – i luoghi dove ascoltare chi fa musica “vera”. Non che quella a Sanremo non lo sia, solo che è preconfezionata. I talent sono, a loro volta, confezionati e collegati strettamente al festival. I format nascono così, e avviene la stessa cosa in America e in molti Paesi d’Europa. Ci sono autori televisivi, oggi dietro alla musica, spesso anche molto capaci. E stilisti, costumisti, fotografi. E i cantanti, i musicisti? Ci sono anche loro, ma un po’ meno dei loro “personaggi”. Qualche volta apparire su uno schermo può essere motivante, avviare altre cose. Farsi conoscere è un lampo, i famosi “15 minuti di gloria per tutti” pronosticati da quel geniaccio di Andy Warhol. Il bello? Viene dopo. SE arriva.


Guardate pure questo “Sanremo Covid”, se siete curiosi. Non è il male assoluto della musica. Ma non è neppure il suo bene, sappiatelo. Magari cerchiamo di parlare, e scrivere, non solo delle vicende sanremesi ma delle storie dei tantissimi strumentisti e interpreti che sono stati lasciati a casa da teatri, sale da concerto, locali e senza che in Italia si comprenda il loro disagio. Sta a noi sostenerli, specialmente quando sarà il momento di farlo. Dovremo vincere la nostra pigrizia, spegnere la televisione e uscire di casa. Trovare la curiosità di andare a scoprire musicisti locali. Trovare il coraggio di organizzare concerti. Trovare l’impeto di sostenere, anche economicamente, nel nostro piccolo, il mondo della musica e della cultura. Vacciniamoci dal Covid, non dalla Bellezza. Per favore.

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