La favola coloratissima dell’Isola delle Rose di Sydney Sibilia

Inizia nella neve a Strasburgo con in sottofondo una canzoncina estiva il nuovo film di Sidney Sibilia “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”: il regista della trilogia dei ricercatori “Smetto quando voglio”, fondatore della casa di produzione Groenlandia insieme a Matteo Rovere, continua a lavorare sul genere, e imbastisce una commedia leggera basata sulla storia vera di Giorgio Rosa (interpretato da Elio Germano), ingegnere di Bologna che nel 1968 costruisce di fronte a Rimini una piattaforma, posizionandola strategicamente al di là delle acque territoriali, nel mare di nessuno, nel mare al di là della legge.

Grazie all’aiuto dell’amico Maurizio (che ha il volto dell’attore e regista teatrale Leonardo Lidi ed è così perfetto che qui in avanti mi aspetto di vederlo in tutto il cinema italiano dei prossimi anni) di un naufrago, un disertore, e di una ragazzina incinta, in pochissimo tempo l’isola diventa un luogo turistico, un’attrazione nota anche a livello internazionale, uno spazio (temporaneo) di libertà assoluta, e si guadagna un grande spazio sui giornali.

Sibilia appare più più interessato alla confezione (che, grazie alla produzione Netflix, è di alto livello, con tanto di ricostruzione del set della piattaforma nelle acque maltesi e con attori internazionali come Tom Wlaschiha, Jaqen H’ghar di “Game of Thrones”) che ad approfondire il suo protagonista e le sue reali motivazioni, e di fatto lascia alla mera testardaggine i suoi scontri con il governo italiano che progressivamente si vede sempre più minacciato dall’agire di Rosa, che vuole il riconoscimento di Stato libero e prima si rivolge all’ONU e poi porta il suo caso a Strasburgo, al Consiglio d’Europa.

Ma: Sibilia la commedia la sa fare e “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose” è un prodotto divertente, coloratissimo e poppeggiante, che ha un senso del ritmo e dei dialoghi, vaccaboia: le minacce tra Rosa e il Ministro dell’Interno Restivo (Fabrizio Bentivoglio), il surreale colloquio di Restivo con il cardinale, e poi il bolognese, le corse in moto e Matilda De Angelis che riecheggiano il Rovere di “Veloce come il vento” e ci portano in quell’atmosfera, quella del sogno, quella della favola. Sibilia (e la sua co sceneggiatrice Francesca Manieri) decidono di giocarsi la carta dell’amore, e ci raccontano che Rosa, alla fine, ha fatto tutto quel casino per dimostrare qualcosa alla sua ex fidanzata Gabriella (la De Angelis), avvocato esperto in diritto internazionale decisa a sposarsi con un altro, un regolare, l’unica che dietro a quel progetto ingegnosissimo ha sempre visto la verità: “Ma cosa vuoi sposarti, tu appartieni a questo mondo”, le dice lui. “Giorgio, io non so se è proprio un mondo questo, è più una discoteca, un lido”, risponde lei con la chirurgica e implacabile precisione di chi più che al genio, alla follia, al sogno, pensa al concorso da preparare.

Una favola con un finale lieto solo a metà, e anche una storia di coraggio, lasciare tutto indietro e andare, partire per ricominciare, che se ci pensi siamo solo di passaggio. E per quanta strada ancora c’è da fare amerai il finale.

 

Per approfondimenti sulla vera storia, c’è una bella ricostruzione qui sul Post, con un’intervista a Giorgio Rosa e il documentario di Stefano Bisulli e Roberto Naccari. .

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