«Siete insetti!»: ecco cos’è il “guerrilla marketing” che piace tanto a Netflix

Se nella giornata di lunedì 25 marzo vi è capitato di viaggiare in treno verso Milano, Bologna o Roma, è molto probabile che vi sarete imbattuti in uno strano messaggio sui tabelloni luminosi nelle rispettive stazioni di destinazione: «Siete insetti!».

In un’epoca in cui siamo sempre più soggetti ed esposti ad attacchi hacker, molti viaggiatori hanno temuto che dietro quelle parole ci fosse il frutto di un colpo informatico a scopi intimidatori da parte di qualche “pirata” del web. Nulla di tutto questo: dietro il misterioso messaggio si cela, in realtà, una campagna pubblicitaria legata al lancio di una nuova serie televisiva disponibile su Netflix, intitolata “Il problema dei tre corpi” e tratta dall’omonimo romanzo dello scrittore cinese Liu Cixin. L’originale “trovata” di marketing è una pratica che viene spesso messa a punto dal colosso dell’intrattenimento, con l’obiettivo di suscitare attenzione e sorpresa da parte dei consumatori – e, ovviamente, diventare virale su tutte le piattaforme social.

Questa insolita forma di comunicazione viene definita “guerrilla marketing”, per cui si intende una forma di pubblicità non convenzionale con lo scopo unico di lasciare il segno, dove la creatività è un elemento fondamentale affinché la campagna abbia successo. Il termine è stato coniato per la prima volta da Jay Conrad Levinson, quando pubblicò il suo libro “Guerrilla Marketing” nel 1984 di cui sono state vendute nel mondo oltre 21 milioni di copie. Secondo l’autore, infatti, per “guerrilla marketing” si intendono «strumenti di marketing “non convenzionali”, utilizzati nei casi in cui le risorse finanziarie o di altro tipo sono limitate o inesistenti».

Come detto, tale forma di interazione sfrutta molteplici tecniche per stabilire un contatto diretto con potenziali clienti, in cui uno degli obiettivi principali è provocare una reazione emotiva nei clienti e indurre le persone a ricordare prodotti o marchi in un modo diverso da quello a cui potrebbero essere abituati. In altri termini, si intende, dunque, un modo diverso di fare pubblicità che aumenta il coinvolgimento dei consumatori con il prodotto o il servizio ed è progettato per creare un’esperienza memorabile. Creando un’esperienza indimenticabile, si aumenta anche la probabilità che un consumatore, o qualcuno che abbia interagito con la campagna, parli del prodotto ai propri amici – e dunque, dia vita al passaparola di cui il “guerrilla marketing” si nutre.

Non è la prima volta che Netflix si serve di questa pratica di marketing per raggiungere in modo dirompente i suoi consumatori: per promuovere la nuova stagione di una delle sue serie di punta, “Stranger Things”, disseminò per Milano diverse installazioni, cartelloni, statue, figuranti e persino una pista di pattinaggio a rotelle in Piazza Duomo – tutti con riferimenti palesi alla serie tv. Uno dei primi casi più interessanti in assoluto di “guerrilla marketing”, ancor prima dei social e della penetrazione massiccia di internet, è stata la campagna promozionale del film horror “The Blair Witch Project”. La pellicola – diretta da Daniel Myrick e Eduardo Sánchez nel 1999 – rientra nel genere dei “mockumentary” (i finti documentari) e racconta la storia di un gruppo di ragazzi che si avventura all’interno di un bosco armati di telecamera per cercare la misteriosa strega che abita il luogo e documentarne la possibile esistenza. Per creare chiacchiericcio e curiosità, la produzione organizzò una massiccia campagna che ruotava attorno alla scomparsa dei tre protagonisti (Heather, Joshua e Michael) con appositi cartelli di scomparsa.

Per rendere tutto più “vero”, furono persino creati ad hoc rapporti falsi della polizia e persino un sito web dedicato alla spaventosa strega. Eppure, nonostante il loro grande successo, non sempre le campagne di “guerrilla marketing” hanno avuto esito positivo: ce n’è una, in particolare, lanciata da dalla Turner Broadcasting negli Stati Uniti per promuovere il suo show “Aqua Teen Hunger Force” del 2007. Per la città di Boston vennero disseminati diversi segnali luminosi al LED, che vennero scambiati erroneamente come dispositivi esplosivi, in quanto si alimentavano direttamente da elementi strutturali quali ponti e cavi della metropolitana. Oltre a causare scompiglio, spavento e traffico in tilt, la Turner Broadcasting, che non avvisò per tempo le autorità competenti, si ritrovò a pagare una multa di milioni di dollari. Insomma, va bene usare il “guerrilla marketing” come strumento creativo, ma l’importante è farlo con criterio!

 

di Fabrizia Malgieri

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