Alle radici della violenza di genere: “Maschilista anch’io e ora chiedo scusa”

24 Novembre 2023 11:00

È il momento di prendersi le proprie responsabilità. Una delle poche certezze nella storia di Giulia Cecchettin è che a ucciderla sia stato un uomo, il suo ex fidanzato. La realtà ci racconta di una società in cui i maschi sono carnefici. E, tuttavia, non ci sentiamo chiamati direttamente in causa: sono sempre gli altri maschi ad essere colpevoli o mostri. Noi siamo quelli progressisti e per la parità. E certo, io sono convinto di essere diverso da chi usa violenza, umilia o uccide una donna, ma ciò non toglie che abbia delle colpe. Perché esiste un comun denominatore tra il maschilismo, più o meno velato, della nostra società e quella violenza che trasforma le donne in proprietà privata di cui disporre a piacimento fino a decidere quando è arrivato il momen to di disfarsene.

Siamo tutti impregnati di un maschilismo tossico, per anni sprezzante, oggi strisciante ma sempre latente, pronto ad esplodere, come un lapsus alla prima occasione. E quei lapsus mostrano che ancora c’è da lavorare. Prima di tutto, mi dico, su me stesso. E inizio a farlo chiedendo scusa per quelle mie esplosioni da “figlio del patriarcato”.

Scusa, per ogni volta in cui mi sono girato dall’altra parte quando un amico o un collega faceva un apprezzamento fuori posto. Scusa per ogni volta in cui io ho fatto un apprezzamento fuori posto. Scusa per ogni volta in cui ho detto o pensato “ragazzi, lontani da mia figlia”. Lei sta crescendo, tra poco avrà le sue prime esperienze sentimentali e sessuali e io, invece di sperare che possano essere motivo di gioia, ho voluto nascondermi dietro lo stereotipo del padre geloso, ennesimo sintomo di una società asimmetrica che ancora identifica la purezza come virtù femminile e l’esuberanza sessuale come una virtù maschile. Scusa Beatrice perché non ho pensato al tuo bene ma in fondo solo a sentirmi parte di quel “club dei padri gelosi”.

Devo chiedere scusa perché non sono stato in grado o non ho voluto in tante circostanze difendere una collega presa un po’ più di mira, dileggiata o il cui valore non è stato riconosciuto a dovere solo perché donna. Schierarsi mi avrebbe fatto perdere quel vantaggio che noi uomini abbiamo, da sempre, nel mondo del lavoro, grazie al silenzio, l’omertà e la complicità della confraternita invisibile di cui facciamo parte. Devo chiedere perdono perché ho pensato che se mia madre non rivolgeva la parola a mio padre per giorni fosse lei quella esagerata. Non che mio padre avesse forse fatto qualcosa, anche solo lasciandola per giorni a casa. Scusa mamma perché ho pensato che fosse normale che tu facessi la casalinga e ti dovessi occupare di noi e di papà che non sapeva nemmeno tagliarsi la carne da solo. Devo chiedere scusa a tutte le donne per ogni commento sessista, a partire dal classico e becero “ma che ha oggi? è mestruata?!”. Scusa per tutte le altre volte in cui ho commentato “che vuoi farci, è una donna” con aria di superiorità morale.

Scusa Cecilia perché, quando mi sono trovato messo all’angolo in una discussione in casa, ho pensato dentro di me che alla fine non avevo proprio torto, è che “tu sei una donna, certe cose le esageri o comunque non le puoi capire”. E scusa perché ho finto di ascoltarti quando mi dicevi di stare attento alla guida perché “ognuno ha le sue qualità, tu sicuramente non le dimostri al volante”. La fiancata alla macchina l’ho fatta io, ma quando i nostri amici o conoscenti maschi vedono il danno, squadrano te e sorridendo maliziosi ti chiedono: “Cos’è che non hai visto?”. E dire che sei tu che mi hai spiegato che in scooter non esiste solo il tutto chiuso e tutto aperto del gas… Devo chiedere scusa perché alla fine, volente o nolente, il solo fatto di essere uomo mi ha reso nella nostra società un privilegiato. Chiedo scusa non di essere uomo, ma di non aver fatto i conti con questo privilegio che i maschi si arrogano senza diritto, facendo finta di non vedere, finta di non capire. E perché ho fatto finta di aver avuto e di avere le stesse possibilità di una donna, soprattutto sul lavoro. Chiedo scusa perché quando una ragazza viene uccisa e sento perpetrare il sottointeso che “chissà cosa sarà successo se lui è arrivato a quel punto” non mi metto a urlare nella stanza, in fila alle casse o sui social.

Scusate perché esiste un filo rosso che unisce la violenza sulle donne con tutti questi piccoli, comuni e quotidiani comportamenti che ci mostra come, nonostante tutti i proclami di parità continuiamo a distinguervi come altro. Prima donne e poi medici. Prima donne e poi giornaliste. Prima donne e poi amiche. Prima donne e solo poi, forse, persone. Io penso di essere una persona a suo modo giusta, equilibrata, onesta. Ma per esserlo veramente devo continuare (o iniziare?) a fare i conti con il fatto di far parte di una società impregnata di una virilità tossica, un imprinting sociale e culturale che serviranno anni o decenni per sconfiggere.

Chiedo scusa alle 105 Giulia del 2023. Spero che altri uomini vi chiederanno scusa dopo di me. Perché è dalla consapevolezza che nascono le idee, dall’accettazione dei propri limiti che si scoprono le risorse per superarli. Partendo dalle piccole cose, perché siamo nani e non giganti.

Gian Luca Rocco
Direttore editoriale Libertà

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