Al bar Ohana 27 nazionalità. “Latte gratis a chi ha bisogno, cerchiamo di aiutare”

08 Aprile 2024 05:00

Monia Esu con una cliente e la figlia Aurora

Bar Ohana, piazzale Roma, a un pugno di metri dalla Lupa. E’ questo il locale più multiculturale di Piacenza, forse d’Italia: 27 nazionalità si alternano a chiedere il caffè rimasto ancora a un euro, una brioche, un panino, una birra o uno spritz.

Ma c’è altro: Ohana è uno sportello decentrato sociale, perché Ohana vuol dire famiglia, “e famiglia vuol dire che nessuno viene dimenticato. O abbandonato”, dice la titolare Monia Esu a memoria, citando Disney.

“Noi diamo tè caldo gratuito se serve, un bicchiere di latte caldo. Una scatola di tè costa due euro, perché dovrei negarla a chi soffre?”, chiede Monia, sarda di origine ma a Piacenza fin da quando era bambina.

LE FORZE DELL’ORDINE

All’ingresso c’è un cartello: “If you need to fight, please go far away from the bar”. Tradotto: se vuoi fare a pugni, vai altrove. “Nessuno ci crede ma siamo davvero famiglia, grazie anche alla collaborazione fondamentale con le forze dell’ordine. I nostri numeri e i nostri nomi sono tra i contatti d’emergenza nelle scuole. Quando la mamma non riesce ad andare a prendere i figli, ci siamo noi”.

L’AFFITTO

Il problema più grande, spiegano, è la casa: “Molti non trovano neppure una stanza, anche se hanno un contratto a tempo indeterminato”. Così è cresciuto anche il racket dei falsi affitti: “C’era chi mostrava la stessa casa a tutti per 500 euro, in cambio di una generica promessa. Abbiamo segnalato la truffa alle forze dell’ordine e sono intervenute subito”.

I PROBLEMI

Problemi, invece, con i clienti? “Chiamammo le forze dell’ordine solo per due italiani con una svastica tatuata. Abbiamo dovuto usare lo spray urticante perché stavano devastando il locale. Hanno fatto un macello”.

I LEGAMI

Monia e la figlia Aurora sono state invitate al matrimonio di una cliente in Nigeria: a giorni partiranno per raggiungerla e festeggiare insieme. E ancora non sono mancate alla laurea di uno dei clienti. Quei ragazzi che chiamano Monia “Mamma Africa”.

L’ARTICOLO DI ELISA MALACALZA SU LIBERTÀ 

 

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