Igles entusiasta della “fagiolana” di Cerignale

Di Giorgio Lambri 17 Agosto 2021 00:47

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Il re della cucina circolare, lo chef Igles Corelli, maestro della ristorazione italiana, bistellato Michelin, volto televisivo amatissimo di Gambero Rosso Channel e padre del mitico Trigabolo di Argenta, celebra sui monti della Valtrebbia la fagiolana bianca di Cerignale, di cui è da ieri orgoglioso “ambasciatore nel mondo”. “Perché questo legume vive in un luogo che è specchio perfetto della mia filosofia culinaria basata sull’eliminazione degli sprechi – spiega, mentre esamina con attenzione le piante rampicanti ed i loro preziosi frutti – Cerignale rappresenta un esempio virtuosissimo di economia rurale fondata proprio sulla sostenibilità”.
La fagiolana, tra l’altro, è salita da circa un anno sull’Arca del Gusto di Slow Food, tra i prodotti (e relativi produttori e trasformatori) da tutelare e salvaguardare, anticamera del più prestigioso titolo di “presidio”, che fu proprio Carlin Petrini a ipotizzare in occasione di una sua visita a Cerignale. Ora il sindaco Massimo Castelli (che è anche il rappresentante dei piccoli comuni nell’Anci) chiama come testimonial un cuoco che proprio della semplicità e della ricerca di prodotti d’eccellenza ha sempre fatto la propria bandiera. “Un posto come questo è come un giacimento per me – conferma Igles – a parte le fagiolane, qui trovi a chilometro zero funghi, tartufi, erbe di campo, farina di castagne, prelibati formaggi e altri prodotti della terra”.
Ma torniamo a questo particolare tipo di fagiolo di cui è “ambasciatore”.
“Assomiglia al Bianco di Spagna, ma ha la pelle più sottile ed una consistenza maggiore. Un prodotto molto interessante per la cucina e sul quale vale la pena di fare ricerca”.
Come lo immagina nella sua cucina.
“Ci devo pensare, sicuramente un utilizzo in purezza” butta lì, ma poi – dopo un assaggio al ristorante Albergo del Pino della mitica Teresa – l’ispirazione arriva: “Secondo me si sposerebbero bene con piatto a base di baccalà”.
Quindi fagiolana di Cerignale promossa a pieni voti?
“Certamente sì, anche per un altro motivo legato alla cucina moderna, sempre meno salutare, con tanti ingredienti ma poca verdura di stagione. Una cucina squilibrata, che un prodotto come la fagiolana può bilanciare con il suo apporto proteico”.
Sembra di capire che Cerignale le piaccia molto…
“Credo che ci sia dell’eroismo nel difendere luoghi come questo dallo spopolamento e dall’abbandono. Certo è facile dirlo per chi come me vive in piazza delle Tartarughe a Roma, ma in realtà io da sempre mi sento più vicino a paesi come Cerignale che non alla città. Dopo una mezzoretta che sei qua e senti il rumore dell’acqua che scende a lato delle strade, respiri questo silenzio e l’amicizia che si coglie tra chi ci abita, ti viene voglia di fermarti qui”.
Sul fronte “piacentino” lei si è già speso in passato per un altro prodotto del territorio, la coppa.
“Ho scoperto la vera coppa piacentina grazie all’amicizia con Michele Milani, un prodotto “esageratamente” buono, niente a che vedere con una consistente parte del prodotto che viene commercializzato con questo stesso nome. Ma di questa provincia non mi è piaciuta solo la coppa…”.
Ah no? Cos’altro?
“Una cucina che ha saputo sposare felicemente la tradizione alla contemporaneità. Credo che i giovani chef, più che fare cucina di ricerca e selezione di ingredienti provenienti da tutte le parti del mondo, dovrebbero concentrarsi sulle preparazioni del territorio e magari venire a fare qualche stage da “nonnine” come la Teresa, 92 anni, dalle quali c’è solo da imparare. Stamattina l’ho vista in azione mentre tirava a mano i tagliolini con le ortiche, commovente”.
E i vini piacentini le piacciono?
“Quelli li conosco da ancor più tempo, grazie all’amico e collega Filippo Chiappini Dattilo, ricordo di aver assaggiato bottiglie molto interessanti”.
Parliamo di lei e dei suoi progetti televisivi con Gambero Rosso Channel, cosa c’è all’orizzonte?
“Un progetto che ho in mente è proprio legato a luoghi come questo e cioè un format che vada alla scoperta di piccoli borghi in cui si nascondono prodotti d’eccellenza poco conosciuti. Credo che non ci sarebbe modo migliore per chiudere il mio progetto sulla cucina circolare”.
Come esce la ristorazione italiana da questo lungo periodo di restrizioni legate al Covid?
“Ovviamente con le ossa rotte, ma anche con una grande capacità di reagire andando a riscoprire la cucina più semplice e legata alla tradizione. La gente ha voglia di autenticità e di “purezza”, anche a tavola e questo deve far riflettere gli chef, soprattutto i più giovani, la strada da percorrere è quella”.

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