Dai candidati agli Oscar a “Bridgerton” a “SanPa” è Netflix che detta la linea adesso

Mentre si comincia a parlare di riapertura dei cinema (che ovviamente avrà bisogno di prodotto e di adeguata comunicazione e promozione istituzionale a supporto del ruolo della cultura tout court, come ricordava in questi giorni Paolo Mereghetti sul Corriere), le nostre case sono invase dalla corazzata Netflix, che ovviamente nel 2020 ha fatto il piano di abbonati (arrivando vicina ai 200 milioni) e che in questi mesi si sta candidando a popolare l’immaginario lanciando nuove produzioni originali a raffica.
Non ho i dati alla mano, ma mi pare ovvio che Prime, che pure sta andando bene, sia comunque un servizio collaterale di Amazon (e si capisce bene che non è il core service anche dalla scarsa personalizzazione del menu, mentre Netflix ha un algoritmo che ti propone schermate diverse per ogni profilo che attivi, che si alimenta e si personalizza a seconda di quello che guardi), per Sky le produzioni originali sono solo una dei molteplici business, Disney + è partita da poco e se le nuove produzioni come “The Mandalorian” e “Soul” sono belle, i titoli nuovi sono scarsi. Inutile dire che non vedo molta gente attaccata a Raiplay che pure è gratis e nemmeno alla famosa piattaforma dei cinefili Mubi, perché anche i cinefili, pur apprezzando molto l’idea di rivedersi “Monica e il desiderio”, a volte optano per qualcosa di più leggero.


E quindi ad oggi è Netflix che detta la linea. Dopo il grande successo de “La regina degli scacchi” e della quarta stagione di “The Crown”, e sembrano ancora più alti i numeri di “Bridgerton”, la serie tratta dai romanzi della scrittrice americana Julia Quinn e prodotta da Shonda Rhimes (la creatrice di “Grey’s Anatomy”, “Scandal”, “Le regole del delitto perfetto”), ambientata nell’alta società inglese dei primi dell’800. Se le proiezioni sono giuste la serie, lanciata il 25 dicembre, diventerà entro il primo mese uno dei prodotti più visti della storia di Netflix.

Ma cosa è “Bridgerton?”

È una storia romantica di bellocci eleganti narrati dalla voce soave di Julie Andrews nei panni della misteriosa Lady Whistledown, che, da vera “Gossip girl”, firma un magazine che contiene fatti, misfatti e scandali del bel mondo londinese. Ma cosa ci dovrebbe affascinare esattamente, a parte il fatto che sono appunto bellocci, al cast misto, alla musica a contrasto (l’orchestra che suona Billie Eilish o Ariana Grande o i Maroon Five)? Consolarci perché far parte dell’alta società consiste in una lunga sfilza di obblighi, doveri e responsabilità? Tifare per i ribelli che leggono e fumano e vogliono sottrarsi a un destino già scritto? La verità è che Bridgerton va giù come un the delle cinque con i biscotti, ma non quelli del supermercato nel sacchetto, quelli belli, di pasticceria, nella confezione di metallo. E chi rifiuta mai un biscotto di pasticceria che arriva dritto da una ricerca di marketing composta da keyword come #sex #love #struggle #revenge #passion #family #identitiy #desire?

Ma oltre a questi prodotti (a volte eccessivamente) leggeri leggeri, già da qualche anno Netflix produce film che arrivano agli Oscar: “Roma” di Alfonso Cuaròn, “The Irishman” di Martin Scorsese, “Marriage Story” di Noah Baumbach, “I due papi” di Fernando Meirelles. Dei tanti titoli nuovi che arriveranno probabilmente alle nomination 2021, “Mank”, “Da 5 Bloods”, “Il processo dei Chicago 7”, “Ma Rainey’s Black Bottom”, “Pieces of a woman” abbiamo già parlato qui.

E in Italia? Anche qui ci sono serie di dubbio gusto, ma c’è anche, recentissimo “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”

E in Italia, Netflix produce anche opere da puro servizio pubblico: “Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini sugli ultimi giorni di Stefano Cucchi ce lo abbiamo tutti negli occhi e nel cuore.
E adesso: “Hai visto Sanpa?”, “Guardate Sanpa!” “Vi consiglio Sanpa”: immagino che tutti i questi giorni sarete incappati in post e recensioni sulla serie Netflix sulla comunità di San Patrignano e soprattutto sul suo fondatore e animale-guida, Vincenzo Muccioli. Una miniserie tutta italiana, ideata e prodotta da Gianluca Neri, e scritta dallo stesso Neri insieme a Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli con la regia di Cosima Spender.

Non ho niente da aggiungere a tutto quello che potete leggere in rete su “Sanpa”: ci sono molte interpretazioni e recensioni valide, le cose migliori che ho visto sono le testimonianze e le interviste ai protagonisti. Ce ne sono un paio molto interessanti di Selvaggia Lucarelli a Gianluca Neri e a Fabio Cantelli, un abitante della comunità che diventerà il responsabile della comunicazione di San Patrignano, un elemento chiave del sistema, e che poi sceglierà di andarsene.

La serie è piuttosto ben fatta, senza inutili parti di fiction, con interviste (bellissime, dal figlio ai sostenitori, ai testimonial, a chi è uscito, a chi è rimasto), filmati e documenti d’epoca: mette in luce le problematiche, i metodi, i “sequestri”, ma non sottovaluta la portata “salvifica” della comunità e i suoi risultati. È un gran lavoro documentale che resta sempre in bolla, tra le luci e le tenebre del suo titolo, ed è questo che la rende così efficace. Perché dovremmo vedere “SanPa”? Per lo stesso motivo per cui dovremmo vedere “Sulla mia pelle”. Per sapere, per ricordare e per mettere insieme pezzi dolorosi della storia del paese. Dici poco.

 

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