Diplomacy: il gioco in cui parlando si conquista il mondo

La storia di questo particolarissimo gioco da tavolo ha inizio alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con un ragazzo di nome Allan B. Calhamer impegnato a frugare nella soffitta della casa di famiglia. La scoperta di un libro riportante vecchie mappe del mondo stimolò la sua immaginazione grazie a paesi dai nomi evocativi come Livonia, Curlandia e Impero Ottomano. Appassionato da sempre di board game, il giovane Allan fantasticò su un gioco di guerra ambientato in quel periodo, ma vista la sua giovane età quel sogno venne messo da parte fino a quando non si ritrovò a frequentare la prestigiosa università di Harvard. Durante i suoi studi di storia europea del XIX secolo, Calhamer si imbatté nel libro del professor Fay del 1928, “The Origins of the World War” (Le origini della guerra mondiale) e i resoconti degli intrighi sotterranei tra le Grandi Potenze risvegliarono la sua volontà di creare un gioco da tavolo completamente diverso da quelli disponibili all’epoca.

Nato con il nome di Realpolitik nel 1954, il progetto di Allan si trasformò in Diplomacy dopo molte revisioni e test fatti alla Harvard Law School con l’aiuto degli studenti di giurisprudenza e nel 1958 arrivò a una forma quasi definitiva. Dopo che il gioco venne rifiutato dai principali editori, Calhamer decise di autoprodurselo stampando solo 500 copie. Questo attirò l’attenzione della Games Research che decise di includerlo nel suo catalogo e da allora Diplomacy è sempre stato disponibile nei negozi, anche se stampato da editori diversi.

Ciò che rende questo gioco davvero unico è che non lascia nul-la al caso, come invece avviene in molti wargame. Non ci sono dadi da tirare né carte da pescare, in ogni turno si deve semplicemente scrivere su un foglio in quale regione si vogliono spostare le proprie truppe schierate su una mappa che riproduce Europa, Turchia, Siria e Nord Africa con i confini del 1901. La risoluzione dei combattimenti è molto semplice: chi attacca con più unità vince. Considerando che (quasi) tutte le nazioni partono con lo stesso numero di unità, l’unico modo per risolvere lo stallo è formare alleanze usando l’astuzia e l’abilità oratoria.

Il gioco prevede di bisbigliare furtivamente negli angoli della stanza, facendo attenzione che nessuno si avvicini per ascoltare. Si pianificano così campagne militari congiunte; si fanno accordi, si rompono accordi, si rispettano i patti e si tradisce. Diplomacy è un gioco che premia ogni tipo di sotterfugio come spiare, mentire, corrompere, spargere voci, manipolare psicologicamente, intimidire apertamente, tradire, vendicarsi e pugnalare alle spalle.

Tutto questo lo rende però molto complicato da portare al tavolo, non solo perché le sue partite tendono a durare tanto, ma anche perché è necessario trovare la giusta compagnia in grado di interpretare lo spirito del gioco; e anche in quel caso è molto probabile che un tradimento porti a una litigata talmente aspra da dover sospendere la partita. Malgrado tutte queste difficoltà, Diplomacy è un gioco che tutti dovrebbero provare nella vita per sperimentare l’aspetto non bellico di un conflitto, ma anche perché permette di sviluppare le proprie capacità di contrattazione e allena il cervello a sviluppare particolari abilità di interazione con le altre persone. Oggi, come 70 anni fa, rimane un’esperienza estenuante da un lato, ma illuminante dall’altro, in grado di farci capire come un conflitto non si vince solo con la forza.

di Carlo Chericoni

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