La barca di Dante e La casa di Jack, il film di Lars Von Trier


E l’anno di Dante e pur nelle restrizioni e ristrettezze e tristezze si moltiplicano gli omaggi gli eventi i tributi alla sua figura: mentre piangiamo per l’occasione mancata di eserciti di dantofili stranieri in giro per la penisola non può mancare il contributo della settima arte, che ha messo in cantiere una biografia cinematografica firmata da Pupi Avati.
Il film partirà raccontando il Dante bambino per arrivare all’adulto. Il primo ciak, ha dichiarato il regista, dovrebbe essere a metà maggio, e si girerà tra la Toscana, la Romagna e Cinecittà, con l’obiettivo di consegnare entro fine anno e chiudere in bellezza le celebrazioni per il 700 anni dalla morte dell’esimio poeta.
Ora, io di Dante non so niente, e chiedo scusa al preside del mio liceo, sono una persona frivola e bramo un pensiero superficiale che renda la pelle splendida, quindi starò nel mio e vi racconterò del moltiplicarsi in rete di pagine dedicate all’audiovisivo che anche vagamente abbia un’ispirazione dantesca e che propongono videogiochi, lezioni, animazioni, documentari dedicati a Dante, ai suoi personaggi e ai suoi ambienti.

Dal cane di “Coco”, che si chiama Dante ed è una guida spirituale che accompagna Hector nel suo viaggio e lo protegge, dal romanzo “Inferno” di Dan Brown e relativo film girato in tutti i luoghi danteschi fiorentini, alle allegorie di “Al di là dei sogni”, fino ai collegamenti più improbabili (nessuno ha pensato alla metafora dell’eruzione del vulcano in “Dante’s Peak?”) sul web si trova di tutto, tranne il più grande tributo dantesco degli ultimi anni che è “La casa di Jack” di Lars Von Trier, noleggiabile su Chili per due spicci.

Eppure mi pare che l’immagine sia eloquente.
Mi pare anche chiaro che sono due settimane che ho in testa Lars Von Trier, che non è mai indice di grande serenità mentale.
Ma a volte mi domando di cosa parleremmo noi critici di cinema se non ci fossero in giro registi come Lars Von Trier, Darren Aronofsky, Yorgos Lanthimos, Larry Clark, Gregg Araki, Jonathan Glazer, Harmony Korine, Shin’ya Tsukamoto. Tutta gente che se ne frega dei miei e dei vostri tabù. E infatti l’ultimo film di Lars Von Trier è la storia di Jack (Matt Dillon), ingegnere che vorrebbe essere architetto, malato di disturbo ossessivo-compulsivo, serial killer.
Essendo Lars Von Trier, non racconta di un detective che indaga sulla psicologia dell’assassino, ma dell’assassino stesso, del suo punto di vista, in cinque “incidenti” che sono cinque devastanti omicidi.
Donne, bambini, passanti, nessuno si salva dal bisogno che Jack ha di uccidere. Fino a che punto ha voglia di mostrarti l’orrore Von Trier? Fino a un ottimo punto, fidatevi.
Ci vuole mente aperta e stomaco forte per vedere questo film che però, rispetto alle sue produzioni precedenti, ha alcuni punti per me poco convincenti.

Contro, 1. La cornice narrativa Dantesca: il dialogo tra Jack e il suo “Virgilio” (Bruno Ganz, nella sua ultima interpretazione) che ripercorre la “caduta” del protagonista. Ci sono così tante spiegazioni che sembra di vedere “Interstellar”.
Contro, 2. Autobiografismo esplicito. Evidente correlazione tra la “filosofia” del protagonista e la visione di Von Trier, non solo regista controverso per il contenuto delle proprie opere, ma apertamente ostracizzato dopo le dichiarazioni rilasciate a Cannes in occasione della presentazione di “Melancholia” nel 2011. Se sei Lars Von Trier ti puoi autocelebrare con molta più classe.
Contro, 3. Finale. Gli ultimi dieci minuti sono completamente inutili. Eccessivo didascalismo della rappresentazione.

Pro, 1. Coraggio. Von Trier è tra quei pochi ai quali non manca il fegato di girare un film sul male, sul “disturbante” che fa parte della vita.
Pro, 2. Messa in scena: ci sono almeno tre scene ne “La casa di Jack” che da sole valgono tutto il film. Viene quasi da pensare che il regista sia partito da quei momenti visionari, e che il resto sia solo qualcosa che ha deciso di costruire intorno a quelle scene. Che resteranno in testa anche a voi.
Pro, 3. Irrisione: dopo la querelle di Cannes, Von Trier mette nel suo film (con il quale è tornato a Cannes) il concetto di “icona” associandola al periodo nazista.
Pro, 4. La citazione di Subterranean Homesick Blues

 

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