La tv è troppo stretta. Sceneggiati e telefilm conquistano i cinema

Troppo grandi per restare inscatolati in un televisore. Fu così che “Le avventure di Pinocchio”, “Sandokan” e “Gesù di Nazareth” uscirono di casa per approdare al cinema. Tre sceneggiati kolossal divenuti film a tutti gli effetti, grazie ai prodigi del montaggio. Non furono i primi, né gli ultimi. Nel corso degli anni ’70 ebbero l’onore di un passaggio sul grande schermo anche telefilm entrati nel mito come “Spazio:1999”, “Orzowei”, “L’incredibile Hulk” o “Furia”. Talvolta erano gli episodi pilota presi di peso e gonfiati per le sale, più spesso si cucivano due o tre puntate alla bell’e meglio. Poco importa: il boxoffice gradiva comunque, specialmente nelle seconde visioni, in provincia e nei circuiti parrocchiali. «Per il film di “Orzowei” ricordo la sala strapiena di bambini. Ero nel mio paese d’origine, Sannicandro Garganico, in provincia di Foggia, la domenica mattina. Fu una grande emozione vedere in grande il mio telefilm preferito», racconta Antonio Vocale, curatore della pagina Facebook “Recensioni malsane reloaded- Scorie di cultura pop anni ’70 e ’80”.

Antonio, che cosa spingeva i ragazzini dell’epoca ad affollare i cinema che rincorrevano la tv?
«Poter ammirare finalmente a colori i programmi più amati era la molla principale. A casa avevamo soltanto la tv in bianco e nero. Inoltre dovevano ancora arrivare i videoregistratori per vedere e rivedere telefilm e cartoni».

Come funzionavano queste “matinée” al cinema, immagino rumorose e indimenticabili?
«I tre cinematografi del mio paese programmavano a turno, ogni domenica alle 10, un titolo adatto ai ragazzi (per la gioia del nostro parroco…). E molto spesso proiettavano titoli già visti in tv, soprattutto i cartoni. Se davanti alla scuola venivano distribuiti i biglietti gratuiti, allora dovevi essere accompagnato da un genitore. Questo perché volevano venderti le enciclopedie tra il primo e il secondo tempo!».

Antonio Vocale, curatore della pagina Facebook “Recensioni malsane reloaded”

Quali titoli ricorda oggi con maggiore nostalgia?
«Sul grande schermo “Sandokan” e “Gesù di Nazareth” funzionavano benissimo e fu un’esperienza emozionante. Quando entravo in sala speravo sempre di vedere sequenze inedite rispetto alla tv. Questo accadeva con i film di animazione che, soprattutto nei cosiddetti “oav”, mediometraggi già concepiti per il cinema, anticipavano avventure inedite e realizzate con maggiore cura».

I (tele)film dei supereroi non la interessavano?
«Quelli sgangherati de “L’uomo ragno” fine anni ’70 li ho persi. Erano realizzati per la tv e nemmeno troppo bene. Al contrario de “L’incredibile Hulk”, che pure ho perso in sala, dove evidentemente si sentiva lo zampino di Kenneth Johnson, regista e produttore cult».
Il suo post su Facebook ha scatenato un autentico “amarcord”…
«Molti hanno commentato con le locandine dei telefilm visti sul grande schermo, da Kojak al tenente Colombo, passando per “Attenti a quei due”. A conferma di quanto funzionasse questo “filone” cinematografico squisitamente anni ’70».

La Rai, a questo proposito, si tuffò a capofitto nel mercato…
«Quando gli sceneggiati Rai iniziarono a essere girati su pellicola e i telefilm americani con i cartoni ad essere importati in 16 mm, l’approdo in sala dei prodotti più amati dal pubblico avvenne in modo naturale. La Rai dopo la riforma del 1975 fu abile a comprendere le potenziali prospettive di sfruttamento extra televisivo, questo sì assolutamente».

Quale personaggio del piccolo schermo fece da pioniere?
«Direi che iniziò tutto con il “Pinocchio” di Comencini, seppur preceduto, almeno in tv, dallo sceneggiato “Verso l’avventura”. C’era un bimbo etiope con una scimmia alla ricerca di un tesoro. Dalla tv dei ragazzi del 1970 arrivò sul grande schermo come film pluripremiato con il titolo “In tre verso l’avventura” nel 1973».

Le locandine a corredo della sua intervista si potranno ritagliare e conservare. Che le pare?
«Che bello! Io ricostruivo le trame degli sceneggiati sforbiciando le pagine dei programmi di “Tv Sorrisi e Canzoni” e ricomponendole sui quaderni. Per i programmi più amati c’erano poi le figurine, le cassette Mupi super 8 da guardare con il visore, i gadget delle patatine».

Tra i telefilm gonfiati per il cinema c’è qualche titolo che meriterebbe approfondimenti?
«Curioso l’esempio del film di “Spazio:1999” con la colonna sonora di Ennio Morricone aggiunta eccezionalmente per la versione cinema uscita nel gennaio 1975. Credo che la Rai, coproduttrice con gli inglesi della Itv, volesse lanciare “alla grande” la serie un anno prima della messa in onda televisiva. Comunque erano tre episodi cuciti».

E facendo il percorso inverso?
«Dal cinema alla tv segnalerei il caso di “Cenerentola ’80”. Passò prima in sala e poi in versione lunga (due parti) su Raidue, sempre con scarso successo. In Germania divenne invece un cult, celebrato ancora oggi. Fu trasmesso nei Paesi dell’Est, il segnale rimbalzò nella Germania dell’Ovest e iniziò il vero trionfo, anche per la canzone “Stay” interpretata da Pierre Cosso e Bonnie Bianco!».

Nella sua pagina Facebook ci sono tutte queste “perle”?
«L’ho creata collegandola al mio blog, proprio per condividere con altri appassionati tanti temi di cui quasi nessuno parla. “Scorie di cultura pop”, non a caso, è il sottotitolo che ho scelto. E’ parecchio seguita, ma è solamente una passione. Io lavoro come pedagogista a Londra dal 2012, dopo aver studiato e vissuto a Bologna. Sono laureato in Scienze dell’Educazione».

Come funziona la nostalgia ’70 e ‘80 in Inghilterra?
«Non mi sembra ci sia grande afflato per i tempi andati. Tendono a storicizzare. Hanno il mito dei Beatles, questo sì, o al massimo di qualche serie Bbc come “Doctor Who”. Nelle feste di fine anno rispuntano le musiche degli Abba e le gag di Mister Bean. Dobbiamo considerare che, a differenza nostra, gli inglesi non hanno mai conosciuto, se non di recente, i cartoni giapponesi – Goldrake, Mazinga & c. – e nemmeno le telenovelas sudamericane. La tv qui ha una tradizione più autarchica e meno trash».

A proposito: i cartoni al cinema?
«Quelli giapponesi mi hanno segnato moltissimo, non solo i robottoni ma anche i feuilleton come Heidi, Remi e Candy Candy. Correvo al cinema per (ri)vederli e trovavo interessanti i film che grazie al montaggio riassumevano la storia e non erano semplicemente un collage di tre, quattro puntate».

Fu un periodo d’oro pure per i film targati Rai che guardavano ben oltre il piccolo schermo…
«Pensiamo a “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi, oppure a “Padre Padrone” dei fratelli Taviani. Capolavori premiati nei festival di tutto il mondo, niente a che vedere con l’accezione corrente di film per la tv».

di Michele Borghi

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