L’animazione è cinema: “Suzume” di Makoto Shinkai


È una tendenza che si vedeva da tempo, me l’ha confermata l’ultima Berlinale dove ho visto tre animazioni stupende: “The Siren” della regista iraniana Sepideh Farsi, ambientato nel 1980 della guerra tra Iraq e Iran, dove un ragazzo cerca di salvare le persone che ama radunandole su un’arca improvvisata, “White Plastic Sky” degli ungheresi Tibor Bánóczki e Sarolta Szabó, dove in un futuro non troppo lontano dove la vita ha una scadenza, uno psicologo infrange ogni regola per salvare sua moglie, e “Suzume” del giapponese Makoto Shinkai, che è in sala in questi giorni.

 

Se i festival blasonati inseriscono film di animazione nelle loro prestigiose sezioni, se un mostro sacro come Guillermo Del Toro ha deciso di realizzare la sua personale versione di Pinocchio e se lo stesso mostro sacro continua a ripetere come un mantra, come ha fatto nel discorso di accettazione al Premio Oscar, che “L’animazione è cinema. L’animazione non è un genere ed è pronta per fare il passo successivo. Noi siamo pronti. Mantenete viva la conversazione sull’animazione”, se “Super Mario Bros” sta incassando miliardi nel mondo, se anche in Italia (dove da tempo lavorano egregiamente nel settore nomi come D’Alò, Mattotti, Rak) si moltiplicano eventi, festival e iniziative dedicate all’animazione, per non parlare di quei GENI misconosciuti che sono gli irlandesi di Cartoon Saloon, forse qualche segnale dovremmo cominciare a raccoglierlo.
Senza addentrarci nella polemica se Makoto Shinkai sia o meno l’erede di Hayao Miyazaki, il gran maestro del cinema d’animazione giapponese, personaggio quasi mistico, colui al quale dobbiamo personaggi come Totoro, Ponyo, Chihiro de La città incantata, La Principessa Mononoke, Sophie de Il Castello Errante di Howl (peraltro Shinkai nega decisamente di essere degno di cotanto onore), nel suo lavoro c’è poesia, dramma, scrittura, personaggi interessanti (perlopiù adolescenti alla ricerca di identità e verità, nel presente o nel passato) e animazioni stupende: nel suo mondo i ragazzi cambiano corpo (come nel suo capolavoro “Your name”) o varcano soglie, come in Suzume, che è una diciassettenne che abita nell’isola di Kyushu con sua zia, perché sua madre è morta da tempo.


Quando incontra uno straniero alla ricerca di una porta, decide di seguirlo da lontano, aprendo una specie di vaso di Pandora. La ragazza e lo straniero (che si chiama Souta, è un guardiano e si troverà trasformato in una forma tanto ridicola quanto scomoda), gli unici a vedere il pericolo imminente che potrebbe devastare il paese (che simboleggia le forze che scatenano i terremoti), dovranno mettersi in viaggio per cercare di chiudere le porte della disperazione (un nome che in effetti non promette bene).

 


Shinkai unisce una storia di formazione che scava in un passato traumatico per trovare il punto di guarigione e di pace con la spiritualità orientale e con le paure di un paese in una confezione raffinatissima e travolgente e ci ricorda, ogni secondo, che l’animazione è cinema, pieno di cuore e magia.

 

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