Non potremo giocare a Warco, il videogame dei futuri fotoreporter

Certe volte è bello immaginare un mondo diverso. Non occorre per forza sognare realtà totalmente diverse, alle volte ci si può limitare a dei piccoli cambiamenti. Per esempio pensando a un mondo in cui il videogioco Warco è stato effettivamente pubblicato. Sarebbe stato forse il più bel gioco sul giornalismo e sul potere delle immagini che si sia mai visto. Purtroppo, nessuno potrà mai farci una partita, perché il progetto è stato cancellato prima che il suo sviluppo arrivasse a compimento. Nonostante ciò, vale comunque la pena ricordarlo, perché è un ottimo spaccato sulle potenzialità del medium videoludico.

La genesi di Warco è curiosa e significativa. Un giorno, il giornalista australiano Tony Maniaty osserva i suoi due figli, intenti a giocare a Far Cry 2 (2008), un interessante sparatutto in prima persona ambientato in un immaginario paese africano, martoriato da una guerra civile. Maniaty ha un’illuminazione: come sarebbe un videogioco che mantiene lo stesso approccio (visuale in prima persona, conflitto, ecc.) ma in cui controlliamo un cameraman e non un combattente? E così è nata l’idea alla base di Warco, in cui si gioca nei panni di una fotoreporter, Jesse Demarco, che si trova nell’immaginaria città nordafricana di Benouja.

L’obiettivo della donna è quello di raccogliere, attraverso foto e video, delle testimonianze del conflitto in corso. L’idea alla base di Warco è che la videocamera può essere un’arma anche più potente di una mitragliatrice. Quest’ultima falcia delle vite e ha un impatto immediato, ma le immagini raccolte e selezionate hanno un effetto su larga scala, che può influenzare l’opinione pubblica e i pensieri delle persone. Quale immagine del conflitto uscirà fuori, attraverso le immagini raccolte da Jesse Demarco? Verrà mostrato l’eroismo dei soldati? Ci si soffermerà sul ruolo dei medici volontari presenti sul posto? Oppure si andrà a sottolineare la brutalità del conflitto, soffermandosi magari su una donna che chiede l’elemosina vicino alle macerie della sua abitazione? In un mondo popolato da smartphone che possono effettuare riprese e foto in qualsiasi momento, è utile ricordare che l’atto con cui si va a inquadrare qualcosa non è mai neutrale. Quello sguardo va sempre a veicolare una determinata visione del mondo. Soprattutto quando i mass media e i social fanno da cassa di risonanza, portando all’egemonia di un determinato immaginario. Warco sarebbe dovuto essere una sorta di “palestra” per giornalisti e fotoreporter che si apprestavano a partire per documentare qualche guerra in giro per il mondo. Il fotoreporter che raccoglie le immagini di un conflitto deve essere infatti una delle persone maggiormente consapevoli di quello che è il peso e l’impatto delle immagini raccolte. Ma Warco pone degli interrogativi a tutti quanti: è davvero possibile riuscire a trovare un punto di vista “neutrale”, soprattutto quando la situazione è complessa e la posta in gioco è alta?

Per il suo progetto, Tony Maniaty coinvolse il filmmaker australiano Robert Connolly e il team di sviluppo Defiant Development, che oggi è ricordato soprattutto per il loro videogioco Hand of Fate del 2015. Come detto, nonostante le ottime premesse e l’ottenimento di alcuni finanziamenti, il progetto non venne mai portato a termine. Se non altro, sognare non costa nulla: magari un giorno qualcuno riprenderà il progetto o ne svilupperà uno analogo.

di Francesco Toniolo

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