“Tra i mostri di Fulci non ho avuto paura. A 9 anni mi sembrava di vivere in una fiaba”

Gole squarciate, cadaveri putrescenti, geyser di sangue. E in mezzo a tanto orrore splatter la piccola Silvia Collatina, fantasmatica presenza del cult horror “Quella villa accanto al cimitero” girato nel 1981 da Lucio Fulci, il poeta del macabro. «Sono uscita intera dalla cantina del dottor Freudstein – sorride Silvia, evocando il sanguinario mostro del film – ora tengo vivo il ricordo di quella pellicola, girando per il mondo nelle convention e coltivando l’amore dei fan per il cinema di Fulci».
Da bimba lei aveva calcato il set più lovecraftiano dei primi anni ‘80. Ha avuto paura?
«Mai. La mia famiglia è sempre stata appassionata di esoterismo e paranormale, ho respirato atmosfere gotiche fin da piccola. Non solo non avevo paura, ma ero attratta dai trucchi e dagli effetti speciali. Con lo stesso stupore di Willy Wonka nella fabbrica di cioccolato».
Dove avete girato?
«Gli interni a Roma, agli studi De Paolis, vicino a casa mia. Gli esterni negli Usa, nella zona di Boston. La villa del titolo si trova a Scituate, in Massachusetts».
Fulci si dice non fosse particolarmente tenero con gli attori…
«Con me è stato un fantastico Maestro, scritto con la “M” maiuscola. Solo una volta, per ottenere un’espressione che non mi veniva, ha alzato la voce».
Che scena era?
«Quando il manichino perde letteralmente la testa. Il mio personaggio, Mae, doveva spaventarsi vedendo in anticipo la terribile morte della baby sitter Ann, interpretata da Ania Pieroni. A me che la tata venisse decapitata lasciava indifferente, non c’era feeling con l’attrice. Lui si arrabbiò per farmi emozionare».
Come andò a finire?
«La timidezza mi bloccava, c’era troppa gente attorno al set per i miei gusti. La reazione del regista mi fece scendere i lacrimoni. La scena venne benissimo e ricordo che Antonella Fulci, la figlia di Lucio, corse subito ad abbracciarmi e consolarmi, fu dolcissima».


Non si spaventò nemmeno vedendo il film finito?
«La pellicola uscì al cinema nell’agosto 1981 con il divieto ai minori di 18. Io la vidi su grande schermo a una proiezione privata: mia sorella di 12 anni ebbe paura, io non ho fatto una piega».
C’è un ricordo legato ai trucchi più “gore” della pellicola?
«Agli studi De Paolis trovai una busta con dentro la finta testa mozzata della Pieroni. Dopo un iniziale stupore, me la volevo portare a casa. Invece nemmeno il braccio del dottor Freudstein mi hanno lasciato, quello che gli viene amputato nel finale. Era il calco del mio arto sinistro, il mostro infatti si rigenera con le parti dei corpi delle vittime. Ah, dimenticavo: era mia anche la mano che taglia la gola alla baby sitter, sempre lei, con il coltellaccio».
Freudstein è ormai divenuto una icona horror…
«Fosse stato un film americano oggi avremmo le maschere come Freddy, Jason o Michael Myers. Con il viso da falena e la divisa da soldato nordista spaventava tutti, tranne me. Sapevo benissimo che dietro la maschera c’era l’attore Giovanni De Nava. Tra l’altro all’inizio, nei test il mostro era diversissimo, sembrava l’uomo scuoiato di “Hellraiser”, con muscoli e nervi in vista».
L’altro suo coetaneo nella casa maledetta è Bob, ovvero Giovanni Frezza.
«All’epoca eravamo i “bambini”, così ci chiamavano quando toccava a noi entrare in scena. Eravamo molto legati. Fulci ci vedeva come fidanzatini e siamo rimasti amici, ora Giovanni vive e lavora in America. Con Fulci girò anche il successivo “Manhattan Baby”. Giovanni sperava di ricostituire la coppia con me, stavolta come fratello e sorella. Non accadde, però il regista mi chiamò per “Murderock – Uccide a passo di danza” del 1984».
“Quella villa accanto al cimitero” incassò bene all’epoca, poi il culto è cresciuto nel tempo…
«Un crescendo dalla fine degli anni ’90 e poi nel 2009 con l’avvento dei social. Su Facebook hanno iniziato a contattarmi fan della pellicola da tutto il mondo. Mike Baronas, grande esperto fulciano, mi ha invitato negli Usa per il primo incontro con gli appassionati americani, i più calorosi assieme a tedeschi, spagnoli e sudamericani».


I suoi due figli hanno visto il film?
«Sì, ma con occhio distratto. Ridono e mi prendono in giro. Mia madre Nenè, invece, ci teneva moltissimo. Era con me negli States e nel suo diario segnava tutto, c’è pure il set giorno per giorno, lo conservo gelosamente. Mi ha lasciato un ricordo prezioso. Fu lei a raccontarmi che l’attrice inizialmente scelta per il ruolo di Mary, mia mamma nel film, si era tolta la vita prima delle riprese. Un fatto terribile, questo sì che mette i brividi».
Nelle varie convention internazionali chi ha incontrato del cast?
«Ci siamo ritrovati negli anni con Frezza, De Nava, Dagmar Lassander (l’agente immobiliare) e Carlo De Mejo (il bibliotecario). Al “London Comic Con Winter”, l’altra settimana, ho potuto riabbracciare la protagonista Catriona MacColl persona sempre meravigliosa. L’adoro. Era Lady Oscar nel film live action, l’ho scoperto anni dopo!»
Oggi sui social vediamo Silvia in versione dark e nel post successivo cantare le hit degli anni ’80…
«Adoro quel periodo musicale, mi piacciono persino gli “one shot”, artisti meteore che hanno lasciato solo una canzone».
Rammarichi legati a quell’epoca?
«Dovevo fare “Oci Ciornie” diretta da Nikita Michalkov con Marcello Mastroianni. Invece, lasciai perdere e un po’ mi sono pentita. Lì ho chiuso col cinema. Adesso lavoro in una società di consulenza di brevetti e marchi, però vi confesso che qualche progetto bolle in pentola».

di Michele Borghi

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