Intelligenze Artificiali: davvero l’uomo è destinato ad essere sostituito?

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L’uomo è di nuovo di fronte a un bivio: adattarsi o cedere il passo all’innovazione

Stiamo vivendo l’epoca della rivoluzione lavorativa, come e forse più i nostri avi sperimentarono la Prima Rivoluzione Industriale. L’avvento delle macchine è coinciso con un cambio di rotta completo nel mondo del lavoro, e lo stesso sta avvenendo con quello delle Intelligenze Artificiali. Dotate di capacità di apprendimento automatico e un adattamento continuo, le IA sembrano porsi sempre un passo avanti rispetto all’uomo medio ed è quindi ovvio che le grandi aziende, da Amazon a Google, passando per Tesla e BMW, puntino all’implementazione di tali tecnologie nei propri ambiti produttivi. E dei dipendenti che ne sarà?

Volendo essere fatalisti, la risposta è semplice. L’automa non si ammala, non sa cosa sia la fatica, non ha nemmeno bisogno di pause per rigenerarsi. L’uomo è invece limitato, sia fisicamente sia psicologicamente, dai propri bisogni primari. È quindi molto probabile, se non quasi certo, che le filiere produttive più gravose in termini fisici vedranno sempre più protagonisti gli operai automatizzati. Proprio come è già successo con la già citata Prima Rivoluzione Industriale, ma in questo caso l’uomo che governa la macchina viene sostituito dalla macchina stessa.

D’altronde, però, è davvero così facile disumanizzare il lavoro? Adattarsi al cambiamento è ciò che l’essere umano ha sempre saputo fare meglio, sin dall’alba dei tempi. È dunque imperativo che la società si trasformi e si adatti, plasmando una realtà in cui l’uomo non lavori “per” le Intelligenze Artificiali, ma accanto e in armonia. E d’altronde, esistono una lunga lista di lavori meno fisici, ma più artistici o altamente specializzati, in cui l’empatia umana e la sua costante ricerca del bene saranno difficilmente sostituibili dalla fredda coerenza delle IA.

di Marta Gravina

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