La Great Pacific Garbage Patch compie 50 anni:
ormai è il triplo della Francia

16 Marzo 2023 05:00

La Great Pacific Garbage Patch, l’isola di plastica nell’oceano Pacifico

In mezzo all’Oceano Pacifico, tra la California e le Hawaii, si trova l’isola di plastica più grande del mondo. Si chiama “Great Pacific Garbage Patch” ed è composta da frammenti di oggetti di uso quotidiano come bottiglie, sacchetti, contenitori alimentari e giocattoli, che vengono trasportati dalle correnti oceaniche e si accumulano in questa zona. Gran parte è rappresentata anche da reti e da altri oggetti utilizzati per la pesca.
È molto difficile quantificarne le dimensioni, data la sua enorme grandezza: si stima che abbia ormai raggiunto 1,6 milioni di chilometri quadrati, vale a dire circa tre volte l’intera Francia. La sua massa si compone di 1,8 trilioni di pezzi, pesanti complessivamente 80.000 tonnellate.
Come si trattasse di un reperto archeologico, gli scienziati di tutto il mondo stanno cercando di capire da quanto tempo sia lì. Nella sua configurazione attuale, l’isola di plastica del Pacifico è stata scoperta per la prima volta nel 1997 da Charles Moore, un velista che si era trovato a navigare attraverso milioni di rifiuti durante una gara tra le Hawaii e la California. Ma i giornalisti di Science News, una testata indipendente americana, hanno rispolverato un articolo del febbraio 1973 in cui si evidenziavano i primi segnali di quella che sarebbe diventata una emergenza mondiale: “È preoccupante – si leggeva – che gli scienziati impegnati in una missione oceanografica abbiano osservato 53 oggetti di origine umana in 8,2 ore di navigazione nell’Oceano Pacifico centrale, lontano dalla civiltà e dalle rotte delle imbarcazioni. Più della metà di questi oggetti era di plastica”.
Inquinamento e correnti hanno fatto il resto.
In questi anni, si sono susseguite le iniziative finalizzate a tentare di ridurre le dimensioni della Great Pacific Garbage Patch e a limitarne il terribile impatto sull’ambiente, in particolare sull’ecosistema marino. Il quale, lì come nelle altre isole di plastica che sono state scoperte successivamente (Mare Artico, oceano Indiano, Nord Atlantico, Sud Atlantico e Sud Pacifico), è stato costretto ad adattarsi: piante e animali, tra cui anemoni, minuscoli insetti marini, molluschi e granchi, sono stati trovati sul 90% dei detriti, portando in alto mare la vita solitamente osservata sulla coste.
C’è poi chi ha lanciato un progetto ancora più estremo: Polimeros. Secondo i progettisti dell’Estudio Clara Focaccia e Juan Manuel Prieto, il modo migliore per recuperare ambientalmente la grande isola di plastica sarebbe urbanizzarla, creando cioè tante piccole città galleggianti, con residenze, aree produttive e commerciali.

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