Dalla realizzazione al furto, fino al ritrovamento: un secolo di mistero

17 Gennaio 2020 15:00

Qualunque fosse stato il verdetto del pool di esperti nominati dalla Procura di Piacenza per determinare la autenticità o meno della tela ritrovata alla Galleria d’Arte moderna Ricci Oddi il 10 dicembre scorso, la storia del “Ritratto di Signora” di Klimt è degna della trama di un film. Oltre due decenni di misteri, colpi di scena, intrighi, capaci di alimentare la fantasia di appassionati, inquirenti, giornalisti, e semplici cittadini.

Dipinto tra il 1916 e il 1917 da Gustav Klimt, uno dei più significativi artisti della secessione viennese, il quadro venne acquistato da Giuseppe Ricci Oddi per esporlo nel 1931 alla inaugurazione della Galleria d’Arte che porta il suo nome.

Il primo colpo di scena della intrigante e intricata storia arriva nel 1996, quando Claudia Maga, studentessa dell’ultimo anno del liceo artistico sperimentale dell’Istituto Magistrale “Colombini” di Piacenza, ha una felice intuizione: che sotto al dipinto se ne celi un altro del pittore austriaco, il “Ritratto di ragazza con cappello”, dipinto nel 1910  del quale poi si persero le tracce. La risonanza della notizia va ben oltre i confini cittadini, facendo crescere il valore dell’opera.

Questa inusuale particolarità del dipinto potrebbe essere la causa della sua sparizione dalla galleria, avvenuta il 22 febbraio 1997, pochi giorni prima di una esposizione. Da allora, per oltre due decenni, del dipinto non si seppe più nulla. Le indagini non portarono mai a risultati concreti, anche se nel corso del tempo ci furono occasionali “rilanci” di informazioni da parte di sedicenti persone informate sui fatti.

Poi, il 10 dicembre scorso, il fulmine a ciel sereno: due giardinieri intenti a ripulire il verde degli spazi esterni della galleria aprono inavvertitamente una botola a muro, scoprendo all’interno di una cavità un involucro di sacchi dell’immondizia. All’interno una tela, apparentemente il Klimt trafugato e mai ritrovato. La sorpresa è grande, eccitante, e subito partono da un lato le indagini per capire come e chi possa averlo messo in quel pertugio, e dall’altro le verifiche per arrivare alla determinazione certa della sua eventuale autenticità. Un tempo di attesa, quello del verdetto degli esperti dei Beni Culturali nominati dalla Procura, interrotto da un ulteriore colpo di scena: la lettera fatta avere per tramite del giornalista di Libertà, Ermanno Mariani, di due sedicenti ladri piacentini, che nello scritto si addossano la responsabilità del furto e del successivo nascondimento nel muro.

Una lunga, intricata, intrigante storia che non si esaurisce con il verdetto definitivo, ma che oltre a proseguire con le doverose indagini giudiziarie, alimenta la possibilità di farne une elemento di attrazione turistica per palati artistici sopraffini, ma anche espediente per percorsi ludici e didattici per bambini coinvolgendoli in tematiche di arte, di mistero, di indagine, di giornalismo.

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