“Sminare parole e rabbia”: la riflessione del vescovo Adriano Cevolotto

26 Novembre 2023 10:53

Quando mi sono messo alla tastiera per scrivere queste riflessioni, in risposta ad una richiesta precisa, per mettere in ordine i tanti pensieri di questi giorni mi è sorta una domanda: per chi scrivi? Per rivolgermi ai giovani dovrei usare un altro linguaggio e sicuramente un altro ‘luogo’, che non è la carta stampata. Non voglio rivolgermi prevalentemente a chi opera nella scuola perché non credo che anche questa emergenza debba gravare prioritariamente su di essa. L’avevo già espresso nella lettera d’inizio anno scolastico. Non vorrei neppure intercettare i diffusi sentimenti di indignazione che la vicenda drammatica di Giulia ha suscitato nel sentire collettivo. Temo che anche le mie considerazioni si possano incagliare nella veloce assuefazione a tutto. Anche ai drammi più atroci.
Ma non voglio arrendermi e voglio credere che ci siano margini per non ripetere il consueto ‘voltar pagina’, per costruire pian piano una educazione a relazioni responsabili.
Gesù riguardo al comandamento “non uccidere” (Mt 5,21s) precisa che esso ha a che fare prima di tutto con l’uso delle parole, che può essere colpevole e minare la relazione con l’altro, comprometterne il valore ai nostri occhi e al nostro cuore. Oggi abbiamo normalizzato a tutti i livelli un uso delle parole violento, irrispettoso. I social stanno accentuando e aggravando questa deriva aggressiva. Con una sorta di innalzamento progressivo dell’asticella dell’offesa che denigra, che squalifica, che umilia. Alimentando un delirio di potere, di cui non si deve rendere conto a nessuno. Nel nostro linguaggio si annida tanta violenza. Esplosiva. Disinnescare la forza della parola violenta è una prima condizione per relazioni di rispetto e di stima.
Gli atti estremi – ci narra la cronaca – hanno il loro contesto nell’incapacità di accettare la fine di una relazione. La sopportazione delle frustrazioni è il risultato di un esercizio lungo, che inizia con i primi distacchi elementari e che attinge ai ‘no’ che si devono sopportare. Eppure quanto è presente e indiscutibile il “Non accetto…!”. È la frase che indica un lavoro necessario da fare su di sé perché la realtà trovi accoglienza, il fallimento e la delusione siano sopportabili e motivo per verificare sé stessi. Un’occasione per dare inizio ad un possibile cambiamento o ad una conversione. Sminare il cuore dalla potenza della rabbia è una seconda libertà da maturare.
La cultura dell’io onnivoro, che fagocita nel possesso qualsiasi cosa è sempre più diffusa. Papa Francesco con un linguaggio che potrebbe addirittura sembrare banale a più riprese ha consegnato la grammatica della relazione attorno alla triade: “permesso”, “grazie”, “scusa”. Non è una questione di puro galateo, di buone maniere da recuperare, è piuttosto educazione quotidiana alla gentilezza, che sta alla base della cura delle relazioni. In nessuna relazione può albergare la pretesa. Recuperare la bellezza del dono e la sorpresa che l’altro/a suscita è un’altra condizione per vivere relazioni buone.
L’indignazione diventa insieme preoccupazione per il futuro. Ma il tutto è sterile se non si traduce in scelte responsabili. Che riguardano tutti e ciascuno. Oggi noi adulti mal sopportiamo la fatica di dire dei no (motivati), di porre dei limiti. Benedetto l’adulto che non abdica al suo compito di testimoniare un ‘oltre’ la soddisfazione dell’immediato.
Mi arrivano segnali di ragazzi (maschi) in difficoltà a parlare di sé, dei propri vissuti emotivi. Il padre che hanno accanto è il primo maschio che può essere maestro nel vivere il proprio mondo interiore. Benedetto quel padre che nel dialogo genera il figlio maschio alla familiarità con i propri sentimenti e le proprie emozioni.
Ancora una volta si conferma la verità del detto che per far maturare un figlio d’uomo ci vuole un villaggio. Noi invece tendiamo a sequestrare il compito educativo, a pensarci da soli in grado di una sfida sempre più grande. Benedetta quella generazione che riprenderà a respirare l’aria del villaggio per la quale ciascuno è figlio/a di tutti. Perché gli adulti hanno deposto le pietre da lanciare su chi ardisce intervenire sul proprio cucciolo. A quel punto nessuno risulterà essere avversario e tantomeno nemico. Tutti convertiti alla bellezza dell’altro e dell’altra, straordinaria e fragile insieme. Una giornata che ci dà i compiti per gli altri giorni dell’anno. Sarebbe auspicabile che tra 365 giorni ciascuno si chiedesse: cosa è realmente cambiato in me e tra di noi dall’anno scorso?

Riflessione del vescovo della Diocesi di Piacenza-Bobbio Adriano Cevolotto

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