Joel e Ellie attraverso l’apocalisse: “The last of us”

Le storie del post apocalisse sono tremende: ma nessuna storia del post apocalisse è tremenda come quelle dove c’è un adulto che deve proteggere un bambino. L’ho realizzato perfettamente nel 2009, alla Mostra del Cinema di Venezia, quando sono entrata in una sala a vedere “La strada”, tratto dal romanzo di Cormac McCarthy del 2006: è un film così deprimente che di fatto non è mai stato distribuito. “La strada” racconta la storia di un padre e un figlio in viaggio attraverso la terra desolata che una volta erano gli Stati Uniti. Tutto il libro oscilla tra disperazione e speranza, portata avanti dal padre, che decide di partire con il figlio per andare verso il mare. Il padre, che continua a dire al figlio di tenere accesa la luce dentro di sé.

 

“The Last of Us” non è come “La strada”: o meglio, “The Last of Us”, trasposizione televisiva firmata HBO (i più grandi sfornatori di successi seriali degli ultimi anni, da “The Wire” a “House of the Dragon”), basata sull’omonimo video game di grande successo del 2013, che è ambientato in un presente post-apocalisse, dove un fungo evoluto che prende possesso del corpo umano ha decimato la popolazione mondiale, prende gli elementi fondanti de “La strada” e, dal punto di vista televisivo e seriale, li migliora. La prima stagione della serie, che in Italia è in onda su Sky, è composta da nove episodi (l’ultimo andrà in onda durante la serata degli Oscar): creata da Craig Mazin (il creatore di “Chernobyl”) insieme a Neil Druckmann, co-creatore del videogioco, “The Last of Us” è ambientata nel post-apocalisse: anche qui molti degli uomini rimasti perdono ogni residuo di dignità umana: la grande consolazione (e ovviamente la speranza) nasce dal fatto che essendo una serie, sai che i protagonisti andranno il più lontano possibile.

 

Il cinquantaseienne Joel (Pedro Pascal, che dopo “The Mandalorian” è il padre che tutti vorremmo) e la quattordicenne Ellie (Bella Ramsey, ovvero Lyanna Mormont di “A game of Thrones”) si incontrano per caso: Ellie, che è nata a pandemia già iniziata, è così sveglia che potrebbe quasi cavarsela da sola, Joel, che durante la pandemia ha subito lutti insanabili e fatto cose orribili, è troppo distrutto per credere davvero di avere una speranza. Nei primi episodi Joel si occupa di Ellie per la missione: dopo tutto quello che attraversano insieme, per Ellie esiste solo Joel e per Joel esiste solo Ellie.

“The Last of Us” è anche, come quasi tutto quello che viene dagli Stati Uniti, un romanzo di formazione costruito (ovviamente) come le tappe di un videogioco: nuovi scenari, nuovi pericoli. In tutto questo orrore, come già accadeva ne “La strada” e in altri grandi romanzi sul post apocalisse, come “L’ombra dello scorpione”, la cosa peggiore non sono gli infetti, che spesso sono solo un contesto, un’ombra, una minaccia che esiste sullo sfondo, ma gli uomini, il peggio degli uomini, l’orrore degli uomini costretti a sopravvivere in condizioni estreme. E in tutto questo orrore, questa relazione che si costruisce tra un uomo e una ragazzina è quello che potrebbe salvare l’umanità. Letteralmente.

 

Intorno a loro, e prima di loro, ci sono la Fedra, organizzazione governativa (o dittatura militare?) che cerca di tenere insieme quello che rimane del mondo post pandemico, e le Luci, “terroristi” che vogliono libertà e auto determinazione: anche qui, le buone intenzioni dipendono dalle persone che le portano avanti. E poi ci sono le back stories: i flashback che ci raccontano come Ellie e Joel sono diventati quello che sono (l’episodio “Left Behind” su Ellie e la sua amica Riley), come è iniziata l’epidemia a Giacarta (con una professoressa di micologia che dice che l’unica soluzione è “Bombardare la città”), gli incontri che i due fanno durante la strada, e cosa è successo ad alcuni sopravvissuti, come il bellissimo episodio 3 “Long long time” su Frank e Bill che ricorda la relazione dei due protagonisti: “Non avevo paura prima che arrivassi tu”.

 

E poi ci sono scene stupende come quella nell’episodio 5, “Endure and survive”, dove Ellie è a terra tra gli infetti e gli umani che li stanno braccando e Joel è appostato su un edificio e la protegge come un cecchino proteggerebbe un soldato sul campo. E poi all’improvviso, un’isola comunista. E ovviamente una setta di cannibali più o meno consapevoli (per questo è tanto innovativo l’amore tra e per i cannibali in “Bones and all” di Luca Guadagnino).

E in mezzo tanta cultura pop, videogiochi, Ellie e Joel che ridono per un libro di brutte barzellette, due ragazzine che ballano con delle maschere da mostro in un centro commerciale, squarci della vita di prima che i più giovani non hanno mai visto, spazi di libertà, momenti di sanità mentale nel mondo diviso tra i mostri-mostri e i mostri-umani.

 

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