L’Ora di cinema, giornata 2: puoi farcela anche senza un padre


Ha ragione Paola Pedrazzini, direttrice di Fondazione Fare Cinema e curatrice del Festival per la Scuola “L’ora di Cinema”, condotto in collaborazione con il Liceo Classico Gioia ma aperto a tantissime scuole sul territorio nazionale, quando in conclusione dell’incontro di oggi ha detto “Giorgio Diritti è un maestro”: lo è non nel senso che si crede “stocavolo” (l’espressione originaria non è questa, ma me lo ha detto Enrico Vanzina al telefono e quindi la utilizzo dietro il suo imprimatur), ma perché è una figura ispirante, che crede alla magia del cinema e la sparge intorno a sé. Diritti e il suo cinema, e la conversazione intorno al suo film “Volevo nascondermi” hanno emozionato e stimolato gli studenti collegati che lo hanno sommerso di domande tecniche, ma che soprattutto lo hanno correttamente interpretato come qualcuno in grado di tracciare una strada per il futuro, qualcuno che si è sempre messo alla prova, qualcuno da seguire, e non mi viene in mente niente di più bello di un gruppo di ragazzi che seguono la strada di Diritti.

E il sentimento è reciproco, perché quando l’ho intervistato l’anno scorso a Venezia in occasione della prima del cortometraggio “Zombie” (presentato come eventi speciale di chiusura della 35. Settimana Internazionale della Critica nella sezione SIC@SIC – Italian Short Cinema, realizzato in chiusura del corso di sceneggiatura e regia, “Dall’idea al set”, curato da Diritti durante tutto il 2019 per la Fondazione Fare Cinema a Bobbio) lui stesso mi ha sottolineato il suo entusiasmo durante il corso, esattamente come aveva fatto Gianni Amelio l’anno prima, alla presentazione a Venezia di “Passatempo”, anche Diritti volentieri tornerebbe a Bobbio, a lavorare con i ragazzi, a contagiarli con il suo entusiasmo e a farsi travolgere dalle loro energie positive.


Il suo film, pluripremiato in tutte le categorie, 7 David di Donatello, Orso d’Oro a Elio Germano come Miglior Attore, tanti premi alla regia e alle categorie tecniche, trucco, fotografie, era un’operazione rischiosa e complessa, ma quella di Diritti, come quella del suo Ligabue, è stata una scommessa vinta.
Rischiosa a partire dal mix tra attori e non attori: “Dovevamo costruire un coro enorme di persone, la comunità del territorio della bassa del Po, una dimensione paesaggistica anche umana e quindi abbiamo fatto molte ricerche, e abbiamo preso attori meno noti ma molto preparati e poi le facce giuste, con il dialetto che ci voleva, e con l’intenzione corretta, perché la dimensione collettiva doveva essere credibile e reale. Il meccanismo è riuscito perché nel collage dei volti e nella scenografia si è creato un insieme che ha reso possibile per lo spettatore calarsi in un viaggio nel tempo, un’esperienza che avevo già sperimentato con “L’uomo che verrà”.

 

La comunità del film rispecchia la comunità del set, che è un “momento di espressione, lavoro e vita comune di persone che credono in un progetto”: la storia di Ligabue ci aiuta anche “a capire un percorso di crescita, a come cercarsi dei riferimenti di esperienza, dei buoni maestri”, anche in mancanza di quelli tradizionali, aggiungiamo noi, anche senza i padri. E il messaggio del suo film è che puoi sempre farcela, quando credi in qualcosa, che se hai del talento devi sempre metterlo in gioco.

“Nel mio percorso personale ho incontrato due o tre persone significative: quando lavoravo a bologna, nella musica, ho incontrato Lucio Dalla, Ron, Vasco Rossi. Lucio è stato per me di grande stimolo per trovare una strada diversa da quella che stavo percorrendo. Poi ho conosciuto Ermanno Olmi, a Bassano del Grappa: a Ipotesi Cinema c’erano persone che volevano lavorare nel settore, e potevano scambiarsi idee e pensieri. Oggi nelle scuole si formano tanti buoni operai, ma il cinema ha bisogno di teste aperte, che abbiano voglia di raccontare sé stessi e il mondo, che abbiano la forza di sognare e di immaginare, come nel dopoguerra, quando i registi avevano un punto di vista sul mondo, e non lavoravano per il mercato, ma usavano la loro creatività, avevano una loro identità”. E in un momento particolarmente felice per l’Emilia Romagna (oltre al suo film, una grande vittoria per la creazione di un immaginario regionale l’ha portata a casa Sidney Sibilia, con il David a Matilda De Angelis e a Fabrizio Bentivoglio come Miglior Attrice e Miglior Attore Non Protagonista della sua favola coloratissima “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”, girata a Rimini), ha ricordato un territorio della grande storia cinematografica che conosciamo, Bellocchio, Antonioni, Bertolucci, Fellini, e dalla grande energia nella musica, nei motori “una terra che ha voglia di esprimersi”. Quello che Diritti comunica, trasversalmente, è un’idea di lavoro che ha chiamato “divertirsi faticando”, ma con una grande spinta oserei dire spirituale. Ai ragazzi che chiedevano consigli ha detto di cercare qualcosa vicino alla propria sensibilità, di osare, e di guardare molti film. E a chi gli ha chiesto una definizione di cinema ha risposto: “Se chiudo gli occhi, immagino. Questo è il cinema, è la forza di continuare un sogno”.

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