Robert Plant si racconta dal backstage della Royal Albert Hall: “Con i Led Zeppelin un’esperienza mistica e non solo hard rock”

Il carisma di Robert Plant si diffonde immediatamente nei corridoi della Royal Albert Hall di Londra. Arriva in Rolls Royce, in un pomeriggio ventoso, e si dirige subito nei camerini. Abbraccia Roger Daltrey degli Who, che lo ha invitato per la serata conclusiva della triade di concerti benefici per il Teenage Cancer Trust, da lui organizzati.
Alto, una cascata di capelli grigi rinchiusi in una coda di cavallo selvaggia dalla quale i ricci tentano continuamente di scappare, e in completo classico scuro. Robert Plant si avvicina in modo affabile a tutti: orchestrali, ospiti, giornalisti. La sua voce oggi è profonda e penetrante, gli acuti striduli fanno parte del passato.
«Si sente abbastanza bene, lì in fondo?», grida al sound engineer in mezzo alla platea vuota, dopo una veloce prova dei Saving Grace, in cui le voci devono amalgamarsi perfettamente, come richiede la tradizione folk alla quale lui attinge da molti anni.Quando, appena ventenne, accettò la proposta del chitarrista Jimmy Page di entrare in una band amava già il folk?
«Sono sempre stato un grande cultore di musica folk, e non solo britannica. E’ una passione che non mi ha mai abbandonato, mi ha permesso di mettermi in gioco come cantante utilizzando la mia voce in modi diversi, di crescere come interprete, di realizzare progetti che mi riempiono di soddisfazione».

I Led Zeppelin, però, hanno ridefinito l’hard rock e sono stati un riferimento per intere generazioni.
«Amavo anche la musica rock! Ero un tipico ragazzo inglese… però nella musica dei Led Zeppelin, nonostante l’impatto “forte” arrivasse al grande pubblico in modo viscerale, legato a certi stilemi tipici e di grande effetto, confluivano molti altri generi, tra i quali il blues, un altro dei miei primi amori».Ha suscitato un certo scalpore, tra i fan dei Led Zeppelin, una recente intervista in cui Pete Townshend ha sottolineato come lei all’inizio imitasse Roger Daltrey.
«Pete ha detto la verità! Ricordo perfettamente quando vidi per la prima volta gli Who in concerto. La grande energia e potenza di quel gruppo mi rapirono totalmente. Guardando il loro cantante e frontman, Roger Daltrey, pensai: “Quest’uomo è Dio!”. Sarebbe stato impossibile non prendere ispirazione da un simile performer».Tornando ai Led Zeppelin: in questi giorni, anche in Italia, “The sound remains the same” è nelle sale. Cosa ricorda di quel periodo? Come lo percepisce?
«E’ stato un periodo in cui tutto viaggiava velocemente: noi, il nostro stile di vita, quello della società in cui ci trovavamo, New York, la musica… ogni concerto era un’esperienza monumentale e spontanea, quasi mistica. E vivevamo la vita di tutti i giorni come su una giostra. Non ho certo rimpianti, tanto che abbiamo fatto delle reunion, come altri gruppi di quel periodo. Ma la musica ha un orizzonte infinito e come musicista la mia esplorazione è proseguita. Esemplare è Saving Grace: sarò lieto di tornare in Italia perché – e lo dico e lo penso – è un Paese meraviglioso in cui il pubblico è particolarmente sensibile, mi segue con affetto e ha saputo andare oltre alla mia storia con i Led Zeppelin».

di Eleonora Bagarotti

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