Ecco perché autorità centrali e criptovalute non vanno d’accordo

29 Luglio 2021 06:00

In breve:

  • Le monete tradizionali e le criptovalute appartengono a due universi differenti
  • Paolo Savona (Consob) definisce le criptovalute una “falsificazione della moneta sovrana”
  • La Bce sta lavorando ad un euro digitale

Il mondo delle criptovalute e della blockchain sta creando non pochi rompicapo alle istituzioni finanziarie di controllo e vigilanza. In Italia è la Consob ad essere l’autorità più calda in materia, con il suo presidente Paolo Savona che nelle ultime settimane non le ha certo mandate a dire al mondo cripto. Perché le autorità centrali tradizionali non vanno d’accordo con le criptovalute? Nelle prossime righe qualche semplice – e per i più esperti banale e forse “grossolano” – spunto.

La differenza tra criptovalute e monete “tradizionali”

Le monete tradizionali – come l’euro – vengono emesse dalle banche centrali – come la Banca centrale europea. Le banche commerciali, quelle in cui i cittadini hanno il proprio deposito in conto corrente, a loro volta detengono un conto presso la banca centrale del proprio Paese (nel caso dell’Italia ovviamente la Banca d’Italia). Le criptovalute, invece, sono totalmente estranee a questo sistema monetario. Monete come Bitcoin, per citare la più famosa, vengono scambiate e create all’interno di un registro distribuito e pubblico chiamato blockchain. Questo registro è, per l’appunto, condiviso e accessibile a tutti i partecipanti alla rete Bitcoin. Non c’è alcuna autorità centrale a controllo della rete, che è invece regolata da complessi algoritmi informatici e crittografici pre-determinati. Non è possibile depositare direttamente sul conto corrente bancario “tradizionale” i propri bitcoin (a meno che la propria banca non fornisca servizi che si interfacciano, ovvero che dialogano, con la blockchain, oppure che si convertano prima in euro). I due sono universi separati e le autorità “tradizionali” si sono ritrovate con un problema: regolamentare il “nuovo” mondo finanziario con leggi “vecchie”, che non prevedevano neanche lontanamente l’esistenza del mondo cripto.

Perché le istituzioni finanziarie non amano le criptovalute?

La risposta viene da sé: perché sono al di fuori del loro raggio d’azione. Come scrive Bce nel proprio sito, “non compete alla BCE vietare o regolamentare i bitcoin e le altre criptoattività, perché non hanno corso legale. Tuttavia, data l’assenza di tutele per il consumatore, è importante essere cauti”. La Banca centrale europea, così come le altre, può controllare tutta una serie di parametri (tassi di interesse, riserve obbligatorie e così via) che influenzano direttamente l’euro, ma che non condizionano minimamente le criptovalute che si “autoregolano” sulle loro reti blockchain “private” (fatte salve le cosiddette stablecoin, che per semplicità non vengono considerate in questa sede). Lo scenario che temono i regolatori è quindi una larga diffusione delle cripto attività con conseguente migrazione della ricchezza e degli scambi dal circuito “tradizionale” (che possono controllare) a quello della blockchain (che è impenetrabile per le autorità in termini di sicurezza grazie alla crittografia).

Le parole di Paolo Savona all’incontro annuale della Consob

Paolo Savona, presidente della Consob, autorità italiana per la tutela della trasparenza del mercato finanziario, si è recentemente espresso in varie sedi sul tema delle criptovalute. Nel suo tradizionale discorso all’incontro annuale con il mercato finanziario, il 14 giugno 2021, Savona ha paragonato le criptovalute al “Genio” uscito dalla “lampada prodigiosa” dell’informatica finanziaria. Un giro di parole per spiegare come si tratti di un nuovo mondo per la finanza che non può più essere cancellato o interrotto e che i regolatori devono scegliere come affrontare. Lo spauracchio, dice Savona, è che a seguito della continua evoluzione degli strumenti finanziari legati alle criptovalute “sembra ripetersi l’esperienza antecedente la crisi del 2008, quando i contratti derivati si svilupparono fino a raggiungere una dimensione di dieci volte il Pil globale, assumendo forme complesse che ricevettero un rating elevato”.

L’esperienza in Euklid

Paolo Savona, va detto a onor di cronaca, negli anni precedenti la sua nomina a Ministro per gli affari europei nel primo Governo Conte e quella a presidente della Consob, era amministratore di Euklid, un fondo speculativo con sede nel Regno unito che coniuga intelligenza artificiale e blockchain. Blockchain che è, appunto, l’universo nel quale le criptovalute esistono e vengono scambiate.

Criptovalute “falsificazione della moneta sovrana”

Durante il suo intervento alla Digital week organizzata da Milano finanza e Class editori del 30 giugno scorso, Savona ha addirittura definito le criptovalute “falsificazione della moneta sovrana”. Dal suo punto di vista infatti “in un prevedibile futuro si altererebbe sia funzionamento del mercato mobiliare che quello della democrazia”, trattandosi di monete che sfuggono al sistema tradizionale di banca centrale, banche commerciali e depositi. “A questo punto le autorità ne sono tagliate fuori. Il sistema monetario europeo deve fare il cripto euro”. E in effetti la Bce ci sta lavorando.

Consob contro Binance, la cripto-piattaforma più importante del mondo

Il 19 luglio Consob, seguendo altre autorità di regolamentazione, ha avvertito i risparmiatori che il “Gruppo Binance” non è “autorizzato a prestare servizi e attività di investimento in Italia, nemmeno tramite il sito www.binance.com le cui sezioni denominate “derivatives” e “Stock Token”, relative a strumenti correlati a cripto-attività, sono risultate in precedenza redatte anche in lingua italiana”. Una comunicazione che, nonostante i toni, si limita a ricordare agli investitori che Binance non ha ricevuto l’autorizzazione da Consob o Banca d’Italia ma che, di fatto non proibisce o rende irraggiungibile il sito internet della piattaforma. Infatti, all’interno della stessa comunicazione, si legge: “ si raccomanda di attenersi sempre alla regola generale di considerare l’adesione a proposte contrattuali solo quando se ne abbia un’adeguata comprensione”, ribadendo il principio di massima tutela del risparmiatore e dell’obbligo informativo per la controparte.

Se non puoi batterli adotta la loro stessa tecnologia

Tutte le principali banche centrali mondiali stanno lavorando ad una loro valuta digitale. Si chiamano “Cbcd”, sigla che tradotta in italiano sta per “Valuta digitale di banca centrale”. In Cina i progetti sono già in fase avanzata, con una sperimentazione dello Yuan digitale che è in corso sin dal 2014. Una valuta digitale che però, a differenza di Bitcoin e le altre criptovalute, sarebbe emessa e controllata direttamente dalla Banca centrale cinese. La Bce sta attualmente lavorando all’Euro digitale ed ha annunciato il 14 luglio scorso il via ad una fase di analisi che durerà per i 24 mesi. È ancora da comprendere la natura di questa moneta, che potrebbe essere una versione digitale dell’Euro attuale scambiata sugli stessi sistemi di pagamento che utilizza oggi la Bce (Tips) oppure una versione che adotta la stessa tecnologia di Bitcoin, la blockchain. Tuttavia, a differenza delle criptovalute dove è garantito l’anonimato (o meglio pseudo-anonimato) grazie a complessi indirizzi (codice di riconoscimento di beneficiario e mittente, nessuna necessità di inserire i propri dati personali), la Bce ha già menzionato in un documento preparatorio la possibilità di legare l’euro digitale agli “e-ID”, ovvero le identità elettroniche. D’altro canto è interesse delle autorità centrali conoscere le identità che si celano dietro agli utilizzatori di un ipotetico euro digitale, a differenza di ciò che accade per le criptovalute (non a caso viene citato tra le priorità del progetto l’antiriciclaggio) nel quale appunto la privacy è garantita integralmente dalla natura decentralizzata della rete e dall’assenza di un ente centrale di controllo. Il braccio di ferro tra i due mondi, sebbene a distanza, è appena cominciato.

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