Tra sbarchi e confini: nei videogiochi le rive del mare e del fiume

«Li avete visti sulle rive del fiume », cantava Richard Benson nel suo singolo “I nani” del 2015. La riva, da sempre, è ben più di un semplice spazio fisico e geografico. È un territorio liminale, di confine, che va a caricarsi di significati e metafore. Lo sono sia la riva del mare sia quella del fiume, per ragioni differenti. Entrambe hanno attraversato l’immaginario collettivo attraverso i secoli, portando poi nei videogiochi il loro immaginario simbolico.

La riva costiera è uno dei più rappresentativi territori di confine, che separa il mare dalla terraferma. È lo spazio dove restano intrappolati molti naufraghi nelle varie “robinsonate” (le storie ispirate al romanzo Robinson Crusoe), quando non possono ritornare in acqua ma non hanno nemmeno il coraggio di esplorare l’interno dell’isola, che potrebbe essere abitato da cannibali, mostri o belve feroci. È dove si svolgono le avventure estive e vacanziere di giovani e meno giovani, raccontate in tante commedie, in cui i personaggi indossano una maschera che li porta a essere qualcosa di diverso dalla realtà di tutti giorni, finché rimangono all’interno di quello spaziotempo dell’estate al mare, su una spiaggia affollata. Tutto ciò ritorna anche nei videogiochi. Da un lato, è un facile confine delimitabile, per segnalare il limite di esplorazione del mondo di gioco.

Basta far annegare il personaggio appena fa qualche passo di troppo per insegnare subito al giocatore che non può andare più in là di così. Alcuni videogiochi survival, in cui bisogna sopravvivere in un ambiente ostile, iniziano proprio sulla spiaggia di un’isola da cui non è possibile fuggire. Ma in altri casi è il luogo di imbarco e sbarco, che segnala il passaggio tra due diversi momenti dell’avventura. Può essere un punto di partenza o di arrivo. È entrambe le cose in The Legend of Zelda: The Wind Waker (2002) di Nintendo, un’avventura ambientata in un grande mare costellato di isole e atolli. È il luogo di sbarco in The Seven Cities of Gold (1984), in cui bisogna stabilire una base nel Nuovo Mondo, alla guida di una flotta spagnola. È da dove tante storie prendono avvio, con un personaggio che si imbarca per esplorare terre lontane. Anche la sopra citata componente vacanziera, però, non è certo assente. Soprattutto se si osservano alcuni giochi di ruolo giapponesi, la spiaggia è quel luogo in cui il gruppo di eroi allontana per un momento la preoccupazione sulla salvezza del mondo e si gode un attimo di riposo sotto all’ombrellone. Avventura e vacanza, dunque, i due volti che propone la riva del mare nell’immaginario.

Poi c’è la riva del fiume, che va spesso a collegarsi all’immagine del ponte da attraversare. Un simbolo fortissimo di passaggio, di superamento di una soglia. Talvolta viene usato proprio all’inizio di un videogioco per segnare un duplice passaggio, che avviene in contemporanea. Da un lato, l’eroe o l’eroina abbandonano il loro “mondo ordinario” per entrare nel “mondo straordinario” dell’avventura, per usare la terminologia dei narratologi. Superare un ponte all’inizio del gioco significa che oltre quel punto comincia il loro effettivo viaggio nell’ignoto. Nei videogiochi, però, c’è anche un passaggio ulteriore. Quella soglia segnala il momento in cui il giocatore prende il controllo del personaggio, quando si passa dal filmato introduttivo (con cui non è possibile interagire) al vero e proprio gioco.

di Francesco Toniolo

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