Videogame e romanzi quando il libro non è solo un’appendice del gioco

Di solito, quando si ragiona sui romanzi legati ai videogiochi, il primo pensiero corre agli adattamenti e alle operazioni crossmediali. Si tratta di produrre libri che, nel primo caso, raccontano in forma differente la storia di un videogioco e, nel secondo, vanno a espanderla con ulteriori dettagli che non sono presenti nel prodotto originario. In entrambi i casi queste sono, in larga parte, operazioni con una chiara finalità commerciale, che mirano a vendere prodotti aggiuntivi a chi ha amato un certo videogioco. Ciò non vuol dire che siano sempre e comunque delle pigre operazioni fatte in fretta e furia, per quanto ci siano anche diversi casi di questo genere. Pure simili prodotti possono nascondere meriti inaspettati. È in particolar modo interessante osservare il modo con cui si cerca di narrativizzare il gameplay del videogioco. Si tratta di una scelta praticamente obbligata, davanti a opere videoludiche con una trama molto esile, che serve solo a dare un contesto all’azione, perché hanno il loro focus sulla giocabilità del prodotto. Un famoso esempio in tal senso è il videogioco Doom, un celebre sparatutto del 1993 che segue le vicende di uno space marine inviato sulle lune di Marte per combattere i demoni fuoriusciti da un portale verso gli inferi. L’ambientazione è molto intrigante, con il suo ibrido tra fantascienza e horror, ma la storia di Doom è tutta qui.

Nonostante ciò, sono stati pubblicati ben quattro romanzi su questo videogioco, scritti da Dafydd ab Hugh e Brad Linaweaver. Merita di essere ricordato soprattutto il primo di questi libri, Doom: Knee Deep in the Dead, dove gli autori fanno il possibile per dare un senso narrativo a ogni elemento presente nel gioco originario, come lo spostamento tra livelli separati, le armi e i potenziamenti recuperabili in giro, il fatto che i nemici siano tutti uguali e molto altro. Questi, però, non sono gli unici esempi possibili. Con il passare degli anni emergono sempre più romanzi che non sono solo espansioni su licenza dei videogiochi, ma che usano quest’altro medium come chiave per affrontare tematiche molto più ampie e ramificate. Si vede qualcosa di simile a quanto avvenuto anche nel cinema, dove un affermato regista come David Cronenberg aveva già realizzato nel 1999 un film assolutamente videoludico, eXistenZ, slegato da qualunque reale brand. È un film su una ga eXistenZ me designer che deve sfuggire da un gruppo di serial killer all’interno di un avanzatissimo videogioco in realtà virtuale, praticamente indistinguibile dalla realtà. Similmente, il medium videoludico diviene fonte di ispirazione per scrittori e scrittrici di romanzi di ogni genere. Si trovano talvolta in nicchie molto particolari, come la bizarro fiction, un sottogenere simile al new weird, basato sull’impiego di almeno tre elementi bizzarri che siano funzionali alla trama. Gli esponenti del genere hanno scritto diversi racconti che attingono a retrogaming, bug, mondi online e dintorni, ribaltandoli in modi assurdi e paradossali. Non mancano, però, anche opere pubblicate con famosi editori, che talvolta vincono premi letterari. È quanto avvenuto di recente con un romanzo austriaco, Echtzeitalter di Tonio Schachinger, un percorso di formazione raccontato tramite la storia di un giocatore professionista, campione di Age of Empires 2.

di Francesco Toniolo

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