Where the Water Tastes Like Wine: videogiochi e tradizione orale

Per millenni si sono susseguite tradizioni orali che hanno portato avanti delle storie. Lo si è visto con l’epica e il mito, quando gli aedi cantavano le gesta dei grandi eroi del passato. Lo si è visto con le fiabe, che si sono diffuse in tantissime versioni differenti tra di loro, raccontate durante le fredde sere intorno al focolare e tramandate di generazione in generazione. Poi sono state raccolte in forma scritta e questo ne ha canonizzato una versione, ma è per l’appunto solo una. Pochissimi, per esempio, sanno delle versioni di Cappuccetto Rosso in cui il lupo domanda alla bimba se intende percorrere il sentiero degli aghi o quello degli spilli. Oppure in cui il lupo invita Cappuccetto a mangiare la carne della nonna che lui ha smembrato. Ci si ricorda la versione di Perrault e quella dei Grimm. Anche le dicerie, le spacconate e le leggende metropolitane viaggiano di bocca in bocca, spesso gonfiandosi con il passare del tempo.

Qualche anno fa è uscito un videogioco che ha voluto mettere al centro la narrazione orale. Si tratta di Where the Water Tastes Like Wine, realizzato da Dim Bulb Games e pubblicato nel 2018. Nei panni di uno scheletro vagabondo si cammina attraverso gli Stati Uniti, raccogliendo storie di ogni genere. Queste storie rappresentano la principale risorsa da utilizzare all’interno del videogioco e sono una moneta di scambio. Lungo il percorso si incontrano infatti dei viaggiatori che ci chiedono delle storie legate a un certo mood. Storie divertenti, tragiche, avventurose o altro ancora. In cambio, ci rivelano a loro volta dei dettagli sul loro viaggio e sul loro passato. L’aspetto più interessante, però, è che molte delle storie ottenute si evolvono con il passare del tempo. Come se, raccontandole, venissero costantemente rimesse in circolazione, tra persone che ogni volta aggiungono o modificano qualche dettaglio. Ecco allora che anche banalissime storie locali, di nessuna importanza, si gonfiano e si trasformano fino a diventare i grandi miti della frontiera statunitense.

Where the Water Tastes Like Wine ha avuto tantissimi problemi, come videogioco. Troppo complicato da comunicare, troppo lungo da sviluppare, poco chiaro nel suo tentativo di definire un target da raggiungere. Commercialmente, quest’opera è stata un fallimento. Non solo perché il mercato è estremamente competitivo, ma anche perché il videogioco non aveva le idee chiare e rimane un’esperienza bizzarra, “legnosa” nei controlli e piena di inserti poco chiari, come la scelta di far doppiare un personaggio al cantante Sting, che ha ben pochi legami con l’ambientazione e il tema del gioco. Anche videogiochi di questo genere, però, possono raccontare molto. Where the Water Tastes Like Wine me-rita di essere ricordato per il suo tentativo di inserire in un videogioco la tradizione orale del racconto, mostrando quanto sia importante scambiarsi delle storie. È uno di quei casi in cui sarebbe stato bello avere a disposizione un prodotto migliore, davvero capace di sfruttare l’ottima idea legata allo scambio dei racconti. L’idea, in ogni caso, rimane, ed è qualcosa che si spera di rivedere in futuro, all’interno di altri prodotti videoludici. Nel mentre, chi lo volesse può sempre recuperare Where the Water Tastes Like Wine, per mettersi alla ricerca del misterioso luogo dove l’acqua ha il sapore del vino. Un luogo forse irraggiungibile, ma bello da sognare.

di Francesco Toniolo

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